giovedì 17 gennaio 2013

Lavorare sulle emozioni: la rabbia


In precedenza abbiamo parlato dell' "etichettatura" delle emozioni, che significa cercare di prender nota dello stato d'animo del momento: "Questo è odio, questa è paura, questa è ira, questa è rabbia, ecc". Parliamo della rabbia. In quali occasioni veniamo colti dalla rabbia? Cerchiamo di osservare questa forte emozione. Qualche volta sembra essere giustificata, altre volte non lo è, soprattutto se coinvolge blocchi nevrotici, ossia nostri problemi personali (per esempio un senso di inferiorità o l'identificazione di una persona o di una situazione con qualcosa di odiato). In questo casi sorgono in noi emozioni collaterali: indignazione, irritazione, impazienza, sdegno, frustrazione, ecc. Prendiamo nota di queste sensazioni, proprio nel momento in cui le proviamo. La prima cosa che notiamo è un afflusso di energia, un rilascio di adrenalina, un sensazione di aggressività, la voglia di menare le mani o il desiderio di gridare parole dure. Tutto questo ci fa perdere l'equilibrio emotivo e comporta una mobilitazione di energia, per prepararci all'azione. Ma spesso non possiamo agire, anzi reagire; e siamo costretti a reprimere il tutto, con danni  per il nostro organismo e sicuramente per il nostro benessere.
Se osserviamo attentamente, molte volte ce la prendiamo tanto perché le cose non vanno nel modo in cui vorremmo, perché le persone o le situazioni non si adattano alle nostre pretese, ai nostri ideali, ai nostri desideri. Ma dovremmo essere così saggi da sapere che il mondo non si preoccupa mai né delle nostre immagini ideali né dei nostri desideri - di questo dovremmo renderci ben conto. La realtà va per conto suo. Come reagiamo allora? Se crediamo che la rabbia sia giustificata, la esprimiamo; se crediamo che sia sbagliata, la reprimiamo. In entrambi i casi dobbiamo impiegare molta energia. Infatti, sia l'espressione sia la repressione comportano uno sforzo esteriore ed interiore. E, interiormente, è un macello, un caos, un'esplosione, uno spreco.
In entrambi i casi, non siamo in grado di osservare quello che ci succede. Noi esplodiamo, ma non facciamo una vera esperienza di questa emozione. E quindi non sappiamo come inizia, come si svolge e come finisce.
Nella cultura della meditazione, la cosa più importante è fare esperienza delle emozioni, osservarle, conoscerle. Dobbiamo in altri termini essere attenti a ciò che ci capita e percepire chiaramente la nostra reattività. £Questa è rabbia, questa nasce per un determinato motivo e questo è il mio comportamento: difesa, offesa, ritirata, attacco, umiliazione, voglia di distruggere, voglia di piangere..." Esaminiamo con precisione l'emozione. Con questa semplice operazione, incominceremo a prendere le distanze e creeremo uno spazio intorno ad essa. Allarghiamo sempre di più il senso di spaziosità. Se per esempio siamo di fronte ad un'ingiustizia, chiediamoci: sarà meglio reagire immediatamente sull'onda dell'emozione o sarà meglio agire in un secondo momento con efficacia e con lucidità?
Il problema di fondo è che noi ci identifichiamo sempre con il nostro piccolo ego, che sentiamo continuamente minacciato. Siamo quindi dominati dalla paura e continuiamo a richiuderci, a difenderci o ad attaccare. Rilassiamoci, facciamo un respiro profondo, rimaniamo consapevoli, cerchiamo di avere una visione più ampia degli avvenimenti. Usciamo dal nostro angusto carcere.
In realtà, la rabbia non è mai giustificata (perché nessun squilibrio emotivo è positivo), ma può essere utile se riusciamo a incanalarne le energie. E a questo mira il nostro lavoro.

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