Non ho mai capito perché Dio dovrebbe ammantarsi di misteri e di incertezze e non chiarire mai il suo statuto. “Ragazzi, io ci sono e, dopo la morte, vi aspetta questo...”. Se tutti fossero sicuri di che cosa li aspetta, non ci sarebbero più scuse. Ma Dio si nasconde, è ambiguo, non vuole chiarire le cose e lascia tutti nel dubbio.
Non ho mai capito perché Dio dovrebbe giocare con l’uomo come fa il gatto con il topo. È il solito Dio che semina tranelli, tanto per complicare una situazione già confusa.
Quella che serve è la certezza delle cose, l’esperienza dell’immortalità. E ciò deve essere ottenuto qui e ora. Come fare?
Meditando sul fatto che non siamo ciò che percepiamo e pensiamo e che la nostra identità attuale, fisica e mentale, è destinata a finire. Volgiamo piuttosto l’attenzione sulla parte universale di noi, senza inizio e senza fine.
Ciò che muore è il corpo, è l’identità creduta, il nostro vestito. Ma la coscienza individuale è una piccola coscienza all’interno di una grande coscienza che si è esposta e autolimitata.
Noi osserviamo il tempo con il suo divenire e noi dentro. Ma colui che ne è testimone non è il tempo- ne è al di fuori. Quello noi siamo.
Non abbiamo bisogno di fedi, e non abbiamo bisogno di nessun Dominatore dell’universo. Abbiamo bisogno di esperienze di ciò è persistente in noi, della parte di noi che non muore.
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