sabato 19 dicembre 2020

Pratyahara

 

Mentre pregare Dio è facile (siamo abituati a pregare i potenti), meditare è difficile, perché dobbiamo uscire sia dalla nostra pigrizia sia dalla sfiducia nelle nostre possibilità. L’incapacità di meditare è una vecchia storia. L’uomo nasce come essere sociale e non ama stare solo, in compagnia solo di se stesso. Lo vediamo in questo periodo di feste e di pandemia in cui sembra difficile trovare un po’ di raccoglimento. La nostra tendenza è subito quella di muoverci, viaggiare, partire, evadere. E, quando ci dicono che non possiamo farlo, siamo scontenti e mordiamo il freno. Perfino le feste religiose sono ormai dedicate più al movimento che alla meditazione.

Per alcuni meditare, cioè starsene fermi senza fare nulla, è un supplizio. Per bene che vada, pregano, perché immaginano che si tratti di un dialogo con qualcuno. Ma starsene fermi e in silenzio...!

Eppure un periodo di pace, immobilità e silenzio è qualcosa che ha un valore spirituale inestimabile. E fa bene anche alla salute: è un metodo per recuperare energie e purificarci. Nello yoga si chiama pratyahara, cioè il ritiro dai sensi.

 

“Quando gli organi di percezione (indriya) cessano di essere coinvolti nei loro rispettivi oggetti, e si dirigono all’interno del campo mentale da cui scaturiscono, questo è definito pratyahara.”

Yoga Sutra (2-54)

 

Mentre di solito noi siamo continuamente rivolti all’esterno attraverso i sensi, con pratyahara invertiamo la direzione dell’attenzione. Anziché occuparci solo del mondo esterno, rivolgiamo l’attenzione verso l’interno. Già questo è un sistema per riposarci e staccarci dagli stimoli incessanti.

Ma qui non vogliamo fare esercizi particolari. Ci basta stare fermi, in silenzio e raccolti, placando il corpo e la mente, e acquisendo la saggezza necessaria a comprendere le cose.

Se invece rivolgeremo l’attenzione solo verso il mondo, resteremo esterni ad ogni conoscenza e verità spirituale. E non capiremo mai che cosa sia la meditazione e quali benefici possa apportarci.

 

“Colui che ritrae i sensi dai loro oggetti esterni, come fa una tartaruga che ritrae le sue membra nel guscio, è ben stabilito nella saggezza.”

Bhagavad Gita (2-58)

 

 

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