Mentre pregare Dio è facile (siamo abituati a
pregare i potenti), meditare è difficile, perché dobbiamo uscire sia dalla
nostra pigrizia sia dalla sfiducia nelle nostre possibilità. L’incapacità di
meditare è una vecchia storia. L’uomo nasce come essere sociale e non ama stare
solo, in compagnia solo di se stesso. Lo vediamo in questo periodo di feste e
di pandemia in cui sembra difficile trovare un po’ di raccoglimento. La nostra
tendenza è subito quella di muoverci, viaggiare, partire, evadere. E, quando ci
dicono che non possiamo farlo, siamo scontenti e mordiamo il freno. Perfino le
feste religiose sono ormai dedicate più al movimento che alla meditazione.
Per alcuni meditare, cioè starsene fermi
senza fare nulla, è un supplizio. Per bene che vada, pregano, perché immaginano
che si tratti di un dialogo con qualcuno. Ma starsene fermi e in silenzio...!
Eppure un periodo di pace, immobilità e
silenzio è qualcosa che ha un valore spirituale inestimabile. E fa bene anche
alla salute: è un metodo per recuperare energie e purificarci. Nello yoga si
chiama pratyahara, cioè il ritiro dai sensi.
“Quando gli
organi di percezione (indriya) cessano di essere coinvolti nei loro rispettivi
oggetti, e si dirigono all’interno del campo mentale da cui scaturiscono,
questo è definito pratyahara.”
Yoga Sutra
(2-54)
Mentre di solito noi siamo continuamente
rivolti all’esterno attraverso i sensi, con pratyahara invertiamo la direzione
dell’attenzione. Anziché occuparci solo del mondo esterno, rivolgiamo l’attenzione
verso l’interno. Già questo è un sistema per riposarci e staccarci dagli
stimoli incessanti.
Ma qui non vogliamo fare esercizi
particolari. Ci basta stare fermi, in silenzio e raccolti, placando il corpo e
la mente, e acquisendo la saggezza necessaria a comprendere le cose.
Se invece rivolgeremo l’attenzione solo
verso il mondo, resteremo esterni ad ogni conoscenza e verità spirituale. E non
capiremo mai che cosa sia la meditazione e quali benefici possa apportarci.
“Colui che
ritrae i sensi dai loro oggetti esterni, come fa una tartaruga che ritrae le
sue membra nel guscio, è ben stabilito nella saggezza.”
Bhagavad Gita
(2-58)
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