Quando entriamo per le prime volte in meditazione, e ci viene chiesto di seguire il respiro, percependolo magari nelle narici o nei movimenti dei polmoni, noi crediamo che basti questo esercizio per accedere alla concentrazione di accesso. E cerchiamo di tener duro, di proseguire, di non farci distrarre. Ma prima o poi ci distraiamo, perché il respiro non è così interessante. Quando invece facciamo l'amore o guardiamo un bel film, non abbiamo difficoltà a restare concentrati.
Il problema è che non è il respiro ciò che dobbiamo seguire. Dobbiamo concentrarci su ciò che il respiro manifesta: la consapevolezza, la coscienza di essere, qui e ora. È questo il vero "oggetto" di meditazione, non il respiro in sé, che non è così interessante. Dunque, è l'essere consapevole, la nostra stessa consapevolezza, che ci interessa di più, perché è lei che illumina e dà un senso a tutte le cose.
Tuttavia l'essere consapevoli dell'essere consapevoli non è facile. Si deve creare un cortocircuito, perché il soggetto e l'oggetto di meditazione sono la stessa cosa. C'è sempre infatti un divario. Se faccio della consapevolezza un oggetto, automaticamente non è più il soggetto, e viceversa. Devo fare un salto, ovvero devo superare la distinzione fra soggetto e oggetto.
E questo è possibile solo in stati particolari, quando non penso ad altro e non perdo nello stesso tempo il mio essere consapevole. Stati di grazia, stati di sollievo, stati di intensa concentrazione. Allora, se chiudo gli occhi, vedo la luminosità che è l'aspetto materiale della consapevolezza e il respiro si ferma. Allora mi sento sollevato, liberato, lucido, calmo e gioioso.
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