Quando invitiamo alla pratica del "prendere le distanze" ci riferiamo all'atteggiamento del diventare osservatori del mondo e dei riflessi del mondo in noi stessi. Si tratta quindi della pratica della presenza mentale o dell'attenzione. Ma non bisogna cadere nel vizio di essere sempre scissi, di essere divisi: "l'osservatore è qui e il mondo è la fuori". Non ci dimentichiamo infatti che siamo pur sempre tutti uniti in un'unica rete, in un intreccio di rapporti di interdipendenza. Nessuno esiste da solo.
In effetti un comportamento saggio comporta un certo distacco, una certa presa di distanza sia dagli altri sia da noi stessi, perché non esiste un altro modo per conoscere le cose. Ma bisogna stare attenti al pericolo di farne una sorta di difesa o di corazza, di guardare tutto come se fossimo al di là di un vetro, perché questo sarebbe una ritirata o un evitamento, ossia un atteggiamento psicologico malsano che crea una sorta di alienazione, di estraniamento, che sarebbe il contrario della saggezza.
Quando si medita si prendono le distanze, ma, quando si vive, si vive: bisogna essere aperti alle esperienze.
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