sabato 31 marzo 2018

L'arte del padre


Quello che non hanno capito né Gesù né gli altri fondatori di religioni è che la fedeltà al Dio Padre non significa assoggettamento, obbedienza e sottomissione, ma assumere su di sé la funzione paterna, generando la propria autonomia, la propria differenza.
       In genere, l’eredità che il padre ci ha lasciato non deve tradursi in una semplice imitazione, ma in una riconquista e reinterpretazione individuale della tradizione. Altrimenti, anche il padre è veramente morto.
       Se da una parte il padre resta l’àncora della nostra vita, dall’altra non potremo mai lasciare il porto e navigare nel mare aperto.
       Il padre, da parte sua, non deve servirsi della sua autorità e del suo amore per fare una copia di se stesso nel figlio. La prima cosa che fa un tiranno o un demagogo è dichiarare il proprio amore con cui ingabbiare i sudditi. Il vero padre, invece, è colui che ritira le proprie dichiarazioni di amore per evitare di appropriarsi del figlio, per lasciarlo libero.
       Per essere genitori serve a poco l’armamentario di leggi morali, dogmi e comandamenti. Ciò che più serve è l’arte di farsi da parte, in modo da far crescere i figli.
       Questo è d’altronde ciò che ha fatto Il Padre eterno: creando il cosmo si è tolto di mezzo. Ma le religioni monoteistiche, con la loro riproposizione di un Padre esterno, hanno tentato di riportarlo in vita, creando semplicemente un fantasma, una sacra reliquia.
       Sono dunque queste religioni che fanno da ostacolo all’evoluzione e alla crescita degli individui, sono loro che inscenano continuamente la morte di Dio.
Ma può un Dio morire? O rivive sempre in ognuno di noi, in ogni più piccola particella del cosmo? Muore questo, muore quello… ma può morire il tutto? E, allora, a cosa servono certe messe in scena?

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