Quello
che non hanno capito né Gesù né gli altri fondatori di religioni è che la
fedeltà al Dio Padre non significa assoggettamento, obbedienza e sottomissione,
ma assumere su di sé la funzione paterna, generando la propria autonomia, la
propria differenza.
In genere, l’eredità che il padre ci ha
lasciato non deve tradursi in una semplice imitazione, ma in una riconquista e
reinterpretazione individuale della tradizione. Altrimenti, anche il padre è
veramente morto.
Se da una parte il padre resta l’àncora
della nostra vita, dall’altra non potremo mai lasciare il porto e navigare nel
mare aperto.
Il padre, da parte sua, non deve servirsi
della sua autorità e del suo amore per fare una copia di se stesso nel figlio.
La prima cosa che fa un tiranno o un demagogo è dichiarare il proprio amore con
cui ingabbiare i sudditi. Il vero padre, invece, è colui che ritira le proprie dichiarazioni
di amore per evitare di appropriarsi del figlio, per lasciarlo libero.
Per essere genitori serve a poco
l’armamentario di leggi morali, dogmi e comandamenti. Ciò che più serve è
l’arte di farsi da parte, in modo da far crescere i figli.
Questo è d’altronde ciò che ha fatto Il
Padre eterno: creando il cosmo si è tolto di mezzo. Ma le religioni
monoteistiche, con la loro riproposizione di un Padre esterno, hanno tentato di
riportarlo in vita, creando semplicemente un fantasma, una sacra reliquia.
Sono dunque queste religioni che fanno da
ostacolo all’evoluzione e alla crescita degli individui, sono loro che
inscenano continuamente la morte di Dio.
Ma può un Dio morire? O rivive sempre
in ognuno di noi, in ogni più piccola particella del cosmo? Muore questo, muore
quello… ma può morire il tutto? E, allora, a cosa servono certe messe in scena?
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