Il dolore appartiene al corpo ed è
inevitabile. La sofferenza appartiene alla mente, ed è evitabile o riducibile.
Se vengo ferito fisicamente, è inevitabile che provi dolore. Ma, se vengo
ferito nel mio orgoglio, non è detto che debba soffrire – la reazione è
controllabile.
Se però vado al di là della mente, non
c’è più nessuna sofferenza. La mia mente magari soffre, ma io sono al di là di
questa sofferenza e la osservo come guarderei la sofferenza di un altro.
C’è dunque un enorme vantaggio nell’osservare
la propria mente: mentre osservo mi sposto in un luogo di calma e di pace. Non
mi identifico in maniera automatica con i contenuti della mente. E creo un centro
distaccato, oltre le tragicommedie del mondo.
È così che a poco a poco ci si pone al di là.
Gentile Lamparelli,
RispondiEliminaponendosi oltre le tragicommedie del mondo, non si abdica alla potenzialità cocreatrice dell'individuo, di cui Lei ha parlato in post precedenti? Oppure, è proprio l'assunzione del ruolo del Testimone che ci consente di attingere a quella suprema consapevolezza, illuminando così lo svolgimento delle tragicomiche incombenze quotidiane? Grazie...
Ponendosi oltre le tragicommedie del mondo, si giunge all'Origine di ciò che le ha create e si può assumerne il ruolo "co-creativo" e correttivo.
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