Da recenti
studi di psicologia risulta quello che la saggezza di tutti i tempi ha sempre
detto: che i picchi di felicità (ma anche di infelicità) durano poco e che la
natura ci ha fatto per una via di mezzo tra gli estremi. Questo perché
l'organismo tende a mantenere in equilibrio tutte le nostre funzioni, sia
fisiologiche sia psicologiche. L'euforia e la depressione sono stati estremi
che ben presto vengono riequilibrati. D'altronde, noi ci abituiamo presto a
tutto, e ciò che dà all'inizio una grande felicità (o infelicità), a poco a
poco si attenua. Di conseguenza, più che puntare su una felicità duratura, è
meglio cercare mete più modeste.
Quanto alla religiosità, si sfata il
luogo comune della fede. È più felice un ateo convinto di chi ha una
religiosità incerta. La soddisfazione nella religione non viene tanto dalla
preghiera, quanto dalla partecipazione a riti comuni; insomma è di origine
sociale più che spirituale.
Infine, mai affidare la propria felicità
al possesso di qualche oggetto o persona. Primo, perché non sappiamo se, una
volta ottenuto, ci farà felici davvero; e, secondo, perché l'assuefazione
distrugge presto la gioia. Ciò che conta, il momento più felice, non è il
momento del possesso, ma il momento prima, quando si pregusta in modo
fantastico ciò che otterremo.
In conclusione hanno ragione quelle
spiritualità che ci spingono, più che a cercare la felicità o l'estasi,
l'equilibrio e la serenità. Tutto il resto è il frutto di esperienze che
passeranno presto.
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