martedì 30 aprile 2019

Il flagello della droga


Il fatto che nelle nostre società le droghe siano così diffuse ci dice chiaramente che il disagio è molto diffuso. Perché questo bisogno di instupidirsi, di dimenticare o di stimolarsi? Evidentemente la sofferenza è tanta. E non dipende neppure dalle condizioni economiche, dato che siamo nella parte più fortunata del mondo.
No, si tratta della sofferenza endemica dell’essere umano che si trova in una situazione paradossale, gettato in un mondo dove la lotta e la competizione sono continue e dove non è ben chiaro che cosa ci stiamo a fare. È un dono, un premio, un castigo? Per molti è una gran pena.
Ci sono i poveri che si drogano, ma ci sono anche i ricchi e famosi. Sembra che tutti abbiano qualcosa che gli rode, sembra che l’insoddisfazione sia generale.
Gli altri animali non hanno di questi rovelli. Per loro la vita è semplice. Per l’uomo no. L’uomo ha una coscienza che diventa dolorosa quando si accentra sulla consapevolezza della morte. Perché faticare tanto, perché soffrire tanto se poi tutto deve finire?
I vecchi lo sanno, e infatti sono per lo più depressi e sconsolati e devono essere drogati artificialmente dai medici che li curano. Ma evidentemente lo sanno anche i giovani che sono in fila presso gli spacciatori.
Tutti in una forma o l’altra si drogano. E la chimica non fa che sfornare nuovi tranquillanti o eccitanti. Seguendo in questo i trucchi della natura che, per spingerci a vivere, utilizza le droghe naturali degli ormoni secreti dal cervello. L’amore che viene così esaltato è il prodotto di una di queste droghe che vuole portarci a riprodurci nonostante la possibile insensatezza dell’atto.
Se soffriamo tanto, perché mettere al mondo altri che dovranno soffrire?
Nella nostra retorica ufficiale, la vita merita di essere vissuta, anche se è orribile o termina a pochi mesi o anni. O anche se dura troppo, fino a una vecchiaia decadente che è l’anticamera dell’inferno.
La grande domanda è sempre la stessa – ne vale la pena?
Alcune grandi spiritualità non esaltano acriticamente l’esistenza (come fanno le nostre), ma ci inducono a riflettere sulla necessità di superare anche il desiderio di vivere o non vivere.

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