In precedenza
abbiamo parlato dell' "etichettatura" delle emozioni, che significa
cercare di prender nota dello stato d'animo del momento: "Questo è odio,
questa è paura, questa è ira, questa è rabbia, ecc". Parliamo della
rabbia. In quali occasioni veniamo colti dalla rabbia? Cerchiamo di osservare
questa forte emozione. Qualche volta sembra essere giustificata, altre volte
non lo è, soprattutto se coinvolge blocchi nevrotici, ossia nostri problemi
personali (per esempio un senso di inferiorità o l'identificazione di una
persona o di una situazione con qualcosa di odiato). In questo casi sorgono in
noi emozioni collaterali: indignazione, irritazione, impazienza, sdegno,
frustrazione, ecc. Prendiamo nota di queste sensazioni, proprio nel momento in
cui le proviamo. La prima cosa che notiamo è un afflusso di energia, un
rilascio di adrenalina, un sensazione di aggressività, la voglia di menare le
mani o il desiderio di gridare parole dure. Tutto questo ci fa perdere l'equilibrio
emotivo e comporta una mobilitazione di energia, per prepararci all'azione. Ma
spesso non possiamo agire, anzi reagire; e siamo costretti a reprimere l’imulso,
con danni per il nostro organismo e sicuramente per il nostro benessere.
Se osserviamo attentamente, molte volte
ce la prendiamo tanto perché le cose non vanno nel modo in cui vorremmo, e perché
le persone o le situazioni non si adattano alle nostre pretese, ai nostri
ideali, ai nostri desideri. Ma dovremmo essere così saggi da sapere che il mondo
non si preoccupa mai né delle nostre immagini ideali né dei nostri desideri -
di questo dovremmo renderci ben conto. La realtà va per conto suo. Come reagiamo
di solito?
Se
crediamo che la rabbia sia giustificata, la esprimiamo; se crediamo che sia
sbagliata o inopportuna, la reprimiamo. In entrambi i casi dobbiamo impiegare
molta energia. Infatti, sia l'espressione sia la repressione comportano uno
sforzo.
In ogni caso, non siamo in grado di
osservare quello che ci succede. Noi esplodiamo, ma non facciamo una vera
esperienza di questa emozione. E quindi non sappiamo come inizia, come si
svolge e come finisce.
Nella cultura della meditazione, la cosa
più importante è fare esperienza delle emozioni, osservarle, conoscerle.
Dobbiamo in altri termini essere attenti a ciò che ci capita e percepire chiaramente
la nostra reattività. “Questa è rabbia, questa nasce per un determinato motivo
e questo è il mio comportamento: difesa, offesa, ritirata, attacco,
umiliazione, voglia di distruggere, voglia di piangere..."
Esaminiamo
con precisione l'emozione. Con questa semplice operazione, incominceremo a
prendere le distanze e creeremo uno spazio intorno ad essa. Allarghiamo sempre
di più il senso di spaziosità. Se per esempio siamo di fronte ad
un'ingiustizia, chiediamoci: sarà meglio reagire immediatamente sull'onda
dell'emozione o sarà meglio agire in un secondo momento con efficacia e con
lucidità?
Il problema di fondo è che noi ci identifichiamo
sempre con il nostro piccolo ego, che sentiamo continuamente minacciato. Siamo
quindi dominati dalla paura e continuiamo a difenderci o ad attaccare.
Rilassiamoci,
facciamo un respiro profondo, rimaniamo consapevoli, cerchiamo di avere una
visione più ampia degli avvenimenti. Usciamo dal nostro angusto carcere.
In realtà, la rabbia può essere utile se
riusciamo a incanalarne le energie. E a questo mira il nostro lavoro, con la
presa di distanza.
Noi non
vogliamo né reprimere né esprimere, ma accumulare chiarezza ed energia.
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