giovedì 25 aprile 2019

L'io diviso


Crediamo di essere individui ben definiti, nettamente separati, autonomi, compiuti, esseri viventi che non devono rispondere a nessun altro, che non sono collegati a nessun altro. Ma non è così: anzi, c'è da mettere in dubbio che esistano veri individui. D'altronde, anche il termine individuo significa "indiviso", “non divisibile”, "non diviso" - non diviso da che?
       Dalla rete di altri individui che gli sono più vicini - e, in realtà, da tutti gli altri. C’è dunque nel termine stesso una contraddizione. Esiste infatti una rete in cui i singoli sono soltanto nodi. Ogni nodo è un individuo, ma ogni individuo è unito a tutti gli altri. Al punto che si potrebbe parlare di "persone collettive", di cui i singoli individui sono varie manifestazioni.
       La natura non fa grandi salti. Esiste un continuum innegabile tra gli esseri umani e in particolare tra gruppi sociali. Se non ci fosse stata questa continuità, noi non ci saremmo. Attraverso la generazione, i nostri progenitori hanno mantenuto la continuità. E dunque ognuno di noi è un'espressione, non del tutto diversificata, di questo continuum. Naturalmente, la cosa è più visibile nelle famiglie, dove si nota chiaramente che ogni individuo è un'espressione di un continuum particolare. Allargando poi la visuale, si scopre che esiste un continuum del paese, della città, della regione, della nazione, del continente e così via.
       Quando noi parliamo, pensiamo o agiamo, ci sembra di esprimere esigenze soltanto individuali, ma in effetti manifestiamo aspetti particolari di una personalità collettiva più complessa.
       Questo per dire che gran parte di ciò che pensiamo o decidiamo non è veramente nostro, che noi stessi non siamo veramente noi, che il nostro ego non è un vero io isolato e che siamo tutti "alienati", "altro da ciò che siamo".
       Pirandello diceva che ogni individuo è "uno, nessuno e centomila", ma, molto tempo prima, in Oriente (e in realtà anche in Occidente) si era già parlato di reincarnazione.
       Però, non si tratta tanto di un io che si reincarna, ma di un fiume di esistenza che sfocia in tanti emissari
- che si "individua".
       Ora, il nostro scopo dovrebbe essere quello di diventare veri individui, producendo pensieri e atti diversi da quegli degli altri. Da individui a dividui. Ma ne vediamo molto pochi in giro. Più che altro vediamo dei cloni che ripetono idee e atti uguali a quelli di tutti gli altri. Quei pochi che si sono veramente differenziati li ricordiamo ancora. Gli altri sono solo dei replicanti che hanno il compito di riprodursi finché nascerà davvero un vero individuo, capace di dire e di essere qualcosa di nuovo.
       Ma il paradosso è che noi siamo divisi tanto dagli altri quanto da noi stessi. E che, proprio per questo siamo infelici e cerchiamo di nuovo di unirci perdendo la nostra individualità. Il vero individuo deve dunque soffrire e riuscire a sopportare stoicamente questa sofferenza.

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