Perché è così
importante nella pratica della meditazione lo stare tranquilli, lo stare seduti
semplicemente senza reagire in modo condizionato? Perché, se pratico questo
tipo di meditazione, cresce ogni giorno la familiarità con la spaziosità, con
una sensazione di liberazione. Pratico il tornare al presente, al centro.
Lascio cadere, lascio andare… creo uno spazio intorno alla mia ansia, alla mia
voglia di agire e di reagire. Riscopro il nucleo sereno di me stesso, il mio
equilibrio. Non devo più tormentarmi per salvare me stesso o il mondo. In
realtà, tutto va bene così com'è, anche se sto naufragando, anche se sono
infelice. Posso sorridere anche sull'orlo dell'abisso. Che cosa può succedermi
di più terribile di ciò che sto già facendo a me stesso facendomi travolgere
dall'angoscia, sforzandomi di essere diverso da ciò che sono?
Io pratico la distensione. Che è il
contrario della tensione. Di tensione ci si ammala, di stress si muore. C'è
un'emergenza? E io sto tranquillo. C'è una crisi? Ma quando mai non c'è una
crisi? Crisi significa soltanto cambiamento.
Il che non significa che non devo fare
niente. Stando tranquillo e in silenzio, sto già facendo molto: sto volgendo le
forze evolutive, le forze cosmiche, a mio favore.
Ma devo meditare. Devo sforzarmi di non
sforzarmi, devo fare della quiete il risultato di una pratica... il che è già
un pensiero sbagliato, un pensiero che mi pone nella logica
"produttivistica" di raggiungere un obiettivo. No, devo semplicemente
essere ciò che sono, qui e ora.
Nella meditazione non devo
"dovere", devo soltanto essere.
Non proponiamo né una fede né una
tecnologia. Piuttosto un riconoscimento, un'accettazione, una forma di amore.
Ma soprattutto di pace.
La chiamiamo meditazione di quiete
(shamata), ma potremmo paragonarla ad un reset che riporta un dispositivo alle
condizioni originali di fabbrica.
"Per colui che non medita non c'è
pace" dice la Bhagavad Gita.