Dobbiamo
dunque essere consapevoli del conflitto-dualismo che affligge la nostra mente.
L’obiettivo è quello di non utilizzare questa parte della mente che conosce e
proietta l’antagonismo nell’aldilà. Ma per far questo, la mente deve cessare di
esistere. Deve cioè liberarsi da millenni di condizionamenti psicologici, di
ricordi, di principi, di idee, di fedi e di convincimenti.
È molto
difficile, ma tenere presente che ciò avverrà inevitabilmente con la morte. La
morte è la fine del conosciuto. Solo quando avverrà la fine del conosciuto,
apparirà l’inconoscibile, l’impensabile. Se invece ci aggrappiamo al noto, agli
opposti, al conflitto, alla divisione, non potremo liberarci del passato. E nel
passato rientrano tutte le nostre idee di paradiso-inferno, Dio, anima, reincarnazione
o resurrezione – idee che forse ci danno conforto, ma non ci dicono nulla della
verità.
Dobbiamo
andare al di là delle solite idee di aldilà. Questo è il vero significato di
aldilà, ossia di ciò che avverrà dopo la morte o dopo la trascendenza della
mente. Ci dobbiamo liberare di ogni idea di speranza o non speranza, di fede o
non fede, di Dio o non Dio. Dobbiamo accedere a una consapevolezza totalmente
nuova.
Ma la
mente può liberarsi di questo condizionamento?
In realtà
dovrebbe smettere di pensare e rimanere immobile e silenziosa, e questo non può
farlo. Però può essere consapevole di questa sua incapacità.
Esistono già linguaggi che non sono esprimibili a
parole: la matematica, la musica, le arti… Provate a tradurre con parole una
musica o una formula matematica.
Comunque
tutti questi linguaggi sono ancora un prodotto della mente.
Ma non può
andare oltre, verso qualcosa che non è un suo prodotto: la trascendenza.
Se presti
molta attenzione a qualcosa, puoi ridurre al minimo l’interferenza della mente
concettuale. Ma è raro che ci liberiamo di giudizi, valutazioni, confronti,
condanne… Ci deve essere un vero rapimento mentale, in cui il soggetto, l’io, è
quasi scomparso.
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