lunedì 20 gennaio 2014

Gli interpreti di Dio

È un'antica pretesa quella dei sacerdoti di essere mediatori tra l'uomo e Dio. Un'idea curiale, burocratica e gerarchica... sostenuta ovviamente da una casta che in tal modo ottiene una funzione, un riconoscimento e una ricompensa. Nell'India antica, per esempio, esistevano i brahmani, i quali affermavano che il rapporto con il divino e anche l'ordine sociale dipendevano dai loro rituali. Oggi, questa concezione è ancora presente nel cristianesimo, dove il prete si pone come l'unico interprete autorizzato della volontà divina.
Non a caso lo ritroviamo in tutte le cerimonie pubbliche, a fianco delle autorità statali.
Il cattolico si rivolge al prete un po' come si rivolge ad un patronato. Spera di essere trattato con più considerazione e con più cura; spera di poter mercanteggiare meglio.
Ma domandiamoci: che bisogno c'è di ricorrere a sacerdoti e a rituali per rivolgersi a Dio? Chi ci vieta di farlo direttamente, in prima persona? Crediamo che Dio sia una specie di Papa con tutta la sua corte, che bisogna ingraziarsi?
Chi ci ha messo in testa un'idea del genere? Chi, se non i preti stessi?
Dio non solo non è un Potere esterno. Addirittura è... ciascuno di noi. Ma, poiché non ne siamo consapevoli, ci rivolgiamo prima all'esterno e poi ad un mediatore. E rivolgendoci all'esterno e ad un mediatore, ecco che manchiamo completamente il divino. Siamo irrimediabilmente divisi da Dio. Cioè, è Dio che si divide da se stesso.
Così ci toccherà rimandare tutto al prossimo giro. Cioè, Dio dovrà rimandare tutto al prossimo giro.

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