mercoledì 2 marzo 2016

Senza appigli

Se cercassimo di rievocare un’esperienza del passato, ci ricorderemo certamente del fatto e potremo ripensare a tanti particolari, ma l’esperienza in sé, i sentimenti provati, le emozioni di quel tempo, sarebbero irrimediabilmente perduti.
Il motivo è chiaro: il tempo divora tutto e, a poco a poco, allontana da noi ogni evento, cancellandone i tratti – come una vecchia pellicola che si scolora sempre di più. Essere soggetti al tempo e al divenire significa proprio questo: allontanarsi sempre di più e dimenticare. Se poi aggiungiamo che noi non ci ricordiamo dei fatti in sé, ma delle nostre interpretazioni dei fatti, che sono a loro volta variabili ed evanescenti, ci rendiamo conto che la realtà è impermanente ed effimera, ed è destinata a cambiare, a trasformarsi e a svanire.
Per chi è attaccato alle cose, per i tradizionalisti, per i conservatori, è una situazione disperante. Anche se ci opponiamo al cambiamento, questo avverrà inesorabilmente.
Una simile consapevolezza è sofferenza, perché sappiamo che tutto è destinato alla disgregazione e alla fine. C’è come un dolore continuo, anche nelle esperienze più belle: sappiamo che finiranno. E finiremo noi stessi e il mondo in cui viviamo.

Se dunque vogliamo dismettere questo tipo di sofferenza, la tensione del vivere, e vogliamo veramente rilassarci, se non vogliamo provare delusioni e frustrazioni, non ci resta che non attaccarci a nulla, perché non c’è nessun appiglio che, prima o poi, non ci verrà sottratto.

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