Se cercassimo di rievocare un’esperienza
del passato, ci ricorderemo certamente del fatto e potremo ripensare a tanti
particolari, ma l’esperienza in sé, i sentimenti provati, le emozioni di quel
tempo, sarebbero irrimediabilmente perduti.
Il motivo è chiaro: il tempo divora
tutto e, a poco a poco, allontana da noi ogni evento, cancellandone i tratti –
come una vecchia pellicola che si scolora sempre di più. Essere soggetti al
tempo e al divenire significa proprio questo: allontanarsi sempre di più e
dimenticare. Se poi aggiungiamo che noi non ci ricordiamo dei fatti in sé, ma
delle nostre interpretazioni dei fatti, che sono a loro volta variabili ed
evanescenti, ci rendiamo conto che la realtà è impermanente ed effimera, ed è
destinata a cambiare, a trasformarsi e a svanire.
Per chi è attaccato alle cose, per i
tradizionalisti, per i conservatori, è una situazione disperante. Anche se ci
opponiamo al cambiamento, questo avverrà inesorabilmente.
Una simile consapevolezza è sofferenza,
perché sappiamo che tutto è destinato alla disgregazione e alla fine. C’è come
un dolore continuo, anche nelle esperienze più belle: sappiamo che finiranno. E
finiremo noi stessi e il mondo in cui viviamo.
Se dunque vogliamo dismettere questo
tipo di sofferenza, la tensione del vivere, e vogliamo veramente rilassarci, se
non vogliamo provare delusioni e frustrazioni, non ci resta che non attaccarci
a nulla, perché non c’è nessun appiglio che, prima o poi, non ci verrà
sottratto.
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