La meditazione non va intesa come un
mezzo per ottenere uno scopo: la felicità. La felicità è una conseguenza del
processo meditativo, non la meta.
All’inizio può essere paragonata ad un
microscopio che ci fa vedere cose che prima non notavamo. E questo “vedere” è
già un’uscita dagli abituali stati d’animo negativi.
In fondo, però, le nostre difficoltà, le
nostre nevrosi, le nostre insoddisfazioni, le nostre irrequietezze sono i
materiali su cui lavoriamo, le forze che ci spingono a guardare. Non dobbiamo
tanto eliminarli quanto osservarli.
Osservando i nostri stati d’animo, ne
usciamo. Ma usciamo in uno spazio vuoto. Non ci rimane che il respiro.
Come fare allora a stare concentrati su
questo nulla… nulla di infelicità e anche di felicità? Non c’è noia?
Sì, c’è noia. Ma è un dato positivo.
Quando siamo annoiati, siamo fuori tanto
dalla gioia quanto dalla sofferenza. A ben vedere, è uno stato di lusso.
Nella noia non accade nulla, o forse
dovremmo dire che accade un nulla vitale e liberatorio.
Siamo fuori dalla mente abituale.
Se respiriamo tranquillamente e stiamo
semplicemente lì, ci troviamo in uno stato di grazia.
A questo punto proviamo uno stato di
vera felicità (non duale). Siamo usciti, siamo fuori dalle solite recriminazioni, dalle
solite elucubrazioni, dalle solite paure.
Ecco un primo assaggio di ciò che cerchiamo.
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