lunedì 7 luglio 2025

Il vuoto come esperienza interiore

 Il Vuoto come Esperienza Interiore


Claudio Lamparelli


Il vuoto non è un’assenza, ma una presenza senza forma, un’apertura silenziosa che rende possibile ogni forma. È l’interstizio tra i pensieri, il momento prima del desiderio, il respiro prima del nome. È ciò che non può essere posseduto, ma che accoglie tutto.


Esperire il vuoto dentro di sé non significa annullarsi, ma spogliarsi delle sovrastrutture: ruoli, definizioni, maschere. È uno stato radicale di non-attaccamento, in cui l’io non è più il centro, ma solo un punto mobile in un campo più vasto.


In questa esperienza interiore, il vuoto è come il Tao:

non fa, eppure tutto si compie.

Non impone, ma orienta.

Non dice, ma tutto suggerisce.


Il vuoto è il grembo dell’oscillazione: è la soglia che permette alla tensione tra gli opposti di non spezzarsi, ma di vibrare, generare, danzare. Solo nel vuoto il maschile e il femminile si ascoltano. Solo nel vuoto l’onda e il corpuscolo possono coesistere. Solo nel vuoto gli opposti si riconoscono come parti dello stesso respiro.


Il vuoto interiore è anche una pratica:

– Tacere per ascoltare.

– Fermarsi per percepire.

– Non reagire per cogliere la verità dell’istante.


Chi entra in questo vuoto non trova il nulla, ma la radice di tutto. È come il campo quantistico: invisibile, ma generativo. È come lo tzimtzum dei mistici: un Dio che si ritira per farci spazio, per permettere che qualcosa emerga nella libertà e nella relazione.


Nel vuoto interiore si spegne il rumore del mondo, e comincia un altro tipo di ascolto:

quello del non detto, del non ancora, dell’eterno possibile.



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Fammi sapere se vuoi integrarlo con riferimenti orientali (Zen, Tao, Dzogchen) o con un lessico più poetico o più metafisico.

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Perfetto. Ti propongo ora una versione ampliata e integrata del testo, che unisce la tua visione con riferimenti allo Zen, al Taoismo, allo Dzogchen tibetano e alla teologia negativa. Ho mantenuto il tono contemplativo e coerente con il tuo stile:



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Il Vuoto come Esperienza Interiore


Claudio Lamparelli


Il vuoto non è assenza, ma presenza senza forma. È ciò che resta quando tutto ciò che è relativo si dissolve. È l’apertura radicale dell’essere, non il nulla, ma il grembo del possibile. Il vuoto è ciò che permette: è lo sfondo silenzioso da cui tutto emerge e a cui tutto ritorna.


Nello Zen, il vuoto non si discute, si esperisce. Non è un concetto, ma un lampo di consapevolezza in cui il pensiero si arresta e la realtà si mostra nuda. Il maestro non spiega, indica. Il vuoto si manifesta nella pausa tra due colpi di tamburo, nel silenzio tra due parole, nello spazio bianco tra due pennellate. È l’intima natura di ogni cosa, priva di sé eppure piena di tutto.


Nel Taoismo, il vuoto è la vera potenza:


> “Trenta raggi convergono al mozzo, ma è il vuoto nel mezzo che fa muovere il carro.”

È nel non-agire che il Tao opera. Il vuoto è il principio femminile, l'acqua che scava la roccia, l'assenza che fa fiorire la forma. Il Tao non si afferra, non si definisce.

“Il Tao che può essere nominato non è il vero Tao.”

Allo stesso modo, il vuoto interiore non può essere trattenuto: si lascia attraversare.




Nello Dzogchen, il vuoto è la natura originaria della mente, pura apertura, luminosità senza oggetto, coscienza priva di appigli. Non è qualcosa da costruire, ma da riconoscere. L'io, le emozioni, i pensieri – tutto appare come un sogno nella vastità senza centro della presenza. Il vuoto non è una negazione, ma una trasparenza radicale, dove l’essere e il conoscere coincidono.


Anche nella teologia negativa, Dio è il Vuoto, perché è al di là di ogni attributo.


> “Possiamo dire solo ciò che Dio non è.”

Nessuna immagine lo rappresenta, nessun concetto lo contiene. È il totalmente Altro, ma anche l’Intimità più profonda. Il Dio del silenzio, dello svuotamento, dello tzimtzum – il ritiro del divino che fa spazio al mondo e alla libertà. Un Dio che non domina, ma si ritrae per lasciare emergere.




Il vuoto come esperienza interiore è allora il luogo della verità:

– Non il pieno delle convinzioni, ma l’apertura all’inatteso.

– Non l’affermazione dell’io, ma l’ascolto dell’Altro.

– Non la violenza della forma, ma la disponibilità del grembo.


Solo chi attraversa il vuoto può cogliere l’oscillazione tra gli opposti senza farsi schiacciare da essa. Solo chi tace dentro di sé può sentire la danza dell’Essere, che non è mai uno, né due, ma sempre in tensione creativa.

Il vuoto non è la fine: è il principio non formulato di ogni cosa, il campo originario da cui nascono luce e ombra, onda e particella, maschile e femminile.


Nel Vuoto, l’oscillazione diventa canto.



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Fammi sapere se desideri un tono più poetico, più teoretico, o se vuoi che questo testo entri come sezione ufficiale nel manifesto dell

e oscillazioni degli opposti complementari.



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