giovedì 14 gennaio 2010

Dio e trascendenza

Sono d’accordo con Pascal quando dice: trovo incredibile che la maggioranza degli uomini non si ponga il problema di Dio e viva occupandosi di una quantità enorme di cose fasulle. Ma aggiungerei: trovo incredibile che la maggioranza della gente, dopo aver deciso (o scelto) che Dio esiste o non esiste, ritenga risolto il problema.


Dio è una magra spiegazione, è qualcosa che non spiega niente; e, per di più, impedisce di cercare più a fondo o in altre direzioni. Trovo incredibile che la ricerca teologica si sia fermata a quelle due o tre religioni che dominano il mondo con la loro volontà di potenza. Lo stesso Pascal, che era un genio, fu bloccato dalla sua fede.

In realtà, il problema religioso, ossia il problema del nostro destino, non è riducibile soltanto all’esistenza o all’inesistenza di Dio. Ci sono religioni, per esempio il buddhismo, che fanno completamente a meno del concetto di Dio. Dio potrebbe non esistere, ma la nostra anima sì; Dio potrebbe esistere, ma la nostra anima no. Chi ha stabilito che i due problemi siano connessi?

Trovo che l’umanità abbia in questo un limite enorme; riesce a concepire oggetti complicatissimi, ma in campo teologico è ancora a livello delle scimmie. Il fatto è che il nostro pensiero segue schemi sempre uguali ed è incapace di concepire qualcosa al di là. Ma proprio questo al di là è la trascendenza.

In sostanza il problema religioso è il problema della struttura della nostra mente. Se non si esamina prima questa, tutto ciò che si pensa su Dio rischia di essere un balbettio scimmiesco. Ma come si può esaminare la propria mente se non utilizzando qualche forma di meditazione che escluda almeno temporaneamente le solite categorie conoscitive?

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