Quando il
Buddha osserva che tutte le cose sono interdipendenti, esprime un concetto
modernissimo.
L’interdipendenza,
infatti, non va intesa come semplice compresenza di enti inerti, ma come un
gioco di specchi in cui ognuno rispecchia e influenza l’altro.
La fisica
moderna dice la stessa cosa: il mondo non è costituito da un insieme amorfo di
atomi, di oggetti e di enti, ma da un gigantesco intreccio di tutte le cose.
Forse non ci
si rende conto che un simile sistema di correlazioni comporta, come dice il
fisico Carlo Rovelli, “una rete di reciproca informazione fra sistemi fisici.”
Benché in
fisica la nozione di informazione indichi soltanto una possibilità di
misurazione, resta il fatto che a tutti i livelli, da quello degli atomi a
quello degli esseri viventi, le cose ricevono informazioni da altre cose, proprio
perché sono interdipendenti, correlate.
Quindi la
nascita della coscienza è uno sviluppo inevitabile
del modo in cui sono poste le cose. Tutti riceviamo e diamo informazioni, tutti
riceviamo e diamo conoscenze.
Perché è così
importante questa osservazione? Perché ci conferma che noi siamo ciò che conosciamo
e siamo conosciuti, nonché il modo in cui conosciamo e siamo conosciuti. Come è
scritto nel Dhammapada,
“Siamo quel
che pensiamo.
Tutto ciò che
siamo sorge con i nostri pensieri.
Con i nostri
pensieri creiamo il mondo.”
In
conclusione, è da come pensiamo, riflettiamo, siamo coscienti e meditiamo che
dipende il nostro essere e la nostra esistenza.
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