Siamo troppo
chiusi su noi stessi, troppo attaccati a noi stessi, troppo incentrati su noi
stessi: la nostra vita, la nostra famiglia, la nostra patria, i nostri
amori, i nostri interessi, i nostri dei, insomma il nostro ego. Il risultato è che siamo
pieni di pregiudizi e viviamo in un mondo limitatissimo.
La meditazione
ci insegna ad alzare la testa, ad allargare la visuale e a guardare al di là
del nostro ego. Dobbiamo imparare a guardare noi stessi così come guardiamo gli
altri: con distacco, con equanimità.
Vedremo allora
schemi ripetitivi non solo nel comportamento ma anche nei pensieri e nell’emotività.
E scopriremo che gran parte della nostra
sofferenza viene proprio dall’incapacità di disidentificarci da noi stessi.
Crediamo che l’intero universo giri intorno a noi.
Paradossalmente,
la via d’uscita non è tentare di dimenticarci e di dedicarci a qualche causa, magari
benefica. Questa è un’altra forma di alienazione, che porta sofferenza.
La soluzione è
uscire dall’ego, con tutti i suoi dolori, e diventare puri osservatori. Non per
girare ancora intorno al nostro ombelico, ma per diventare testimoni attenti e
silenziosi di ciò che avviene, in noi e fuori di noi. Dobbiamo smettere di
identificarci con i nostri schemi ripetitivi e focalizzare l’attenzione sulla presenza
consapevole. Dobbiamo restare presenti e consapevoli, proprio per uscire dal soffocante
cerchio chiuso dell’ego.
Restiamo
presenti e vigili, distaccati da tutto, anche dal nostro ego. Recidendo l’identificazione
primaria con noi stessi, e rimanendo concentrati in modo prolungato e
consapevole sulla presenza primaria (che non è più egocentrica), attiveremo una
potente pratica spirituale di liberazione e di trasformazione.
Chi non arriva
a questo punto, rimane sempre bloccato su se stesso e continua a ripetere
schemi mentali che portano solo sofferenza.
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