Con il passare
degli anni, ci accorgiamo che la nostra forma si deteriora progressivamente; e,
quando entriamo nella vecchiaia, quasi non ci riconosciamo più. Sì, siamo
ancora noi, ma che sfacelo! Il corpo cede da tutte le parti e diventa sempre
più brutto.
Come accettare
questo processo?
È evidente
che, se ci identifichiamo con la forma fisica, che è destinata alla decadenza,
non possiamo che essere travolti dall’angoscia o da un senso di inutilità.
Dobbiamo
dunque trovare la nostra vera identità in qualcosa che non si vede e che non si
deteriora. E, per far questo, dobbiamo trovare una sintonia con la vita
interiore, con quel sé profondo che non è toccato dai cambiamenti di
superficie, così come succede con il fondo marino che non è influenzato dai
movimenti delle onde.
È un luogo si
serenità, di quiete, di leggerezza e di lucidità, estraneo al moto del tempo.
Mentre la
bellezza fisica declina irrimediabilmente, la bellezza interiore compie il
cammino inverso.
Per questo
esiste la vecchiaia, prima dell’ultima trasformazione.
Ma è una
questione di livelli, e il prossimo livello lo decideremo noi, in base al
lavoro di auto-coltivazione che avremo fatto.
Credete di
poter pilotare un aereo senza esservi mai preparati? E credete se
pregherete qualche Dio o sarete molto buoni, riuscirete a farlo?
Niente può
sostituire la conoscenza ottenuta personalmente.
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