L’uomo può assolutizzare il proprio io, può farne una valore assoluto (che però è
autoreferenziale e chiuso), oppure può porsi ad osservare il limite del proprio
io, appostarsi su quel confine e contemplare, lasciando così spazio ad una
propria trascendenza, scorgendo con la coda dell’occhio un più ampio sé.
Parlo di contemplazione perché non si tratta né
di abbandonare noi stessi, saltando in una confusa trascendenza che ci
annullerebbe e cancellerebbe la nostra identità, né rifiutarci di andare oltre,
chiudendoci in uno spazio soffocante.
Se all’assolutizzazione dell’io assegniamo il
nome di Dio e lo proiettiamo fuori di noi, facendone appunto l’Assoluto,
mettiamo il carro davanti ai buoi; così, anziché mantenere l’apertura della
coscienza, le creiamo nuovi limiti, precludendole la ricerca,
l’allargamento e la maturazione.
In tal senso, Dio corrisponde ad una
chiusura di senso. La capacità di trascendersi non va certo confusa con una
trascendenza assolutizzata.
La mente deve invece appostarsi ai propri
confini e mettersi in ascolto. In questo tipo di trascendenza c’è sia l’inconscio
con i suoi vari livelli, sia il sovra cosciente, con le sue enormi
potenzialità, ancora tutte da sfruttare.
Nessun commento:
Posta un commento