mercoledì 18 febbraio 2015

La coscienza infelice

Non tutti i risvegli sono piacevoli. L’uomo che un bel giorno apre gli occhi sulla propria condizione, scopre una situazione sconcertante. Non è padrone della propria vita: anziché vivere, viene vissuto.
I pensieri con cui pensa sono stati concepiti molto prima che egli nascesse, il codice dei sentimenti è inscritto nella specie cui appartiene ed è il frutto di una rigida programmazione. La lingua che usa l’ha dovuta imparare ex-novo, come se si fosse recato in un paese straniero e non è certo sua più di quanto non lo sia il paesaggio che lo circonda.
Tutto ciò che ha, in realtà lo ha trovato: qualcuno lo ha predisposto per lui. Perfino la sua identità non è autentica, ma è costituita da pezzi di identità precedenti, amalgamati dalla genetica, dalla società e dall’educazione. Crede di essere qualcuno, e invece è abitato da qualcuno che gli è estraneo, come tutti.
Qualcuno, sì, lo ha messo al mondo, ma non è stato lui a deciderlo, né a decidere il sesso, il tempo, la famiglia e il luogo. E poi la scuola, lo Stato, la religione, la famiglia, la società e la cultura si sono premurati di dargli quei valori e quelle identità per cui dovrà battersi senza averli mai potuti scegliere. Ogni scelta gli è stata anticipata. Anche se dice: “Questo sono io, questo è mio”, niente è veramente suo, nemmeno il proprio io.
Dovrà limitarsi a imboccare, ai vari bivi, l’una o l‘altra strada, ma dovrà comunque seguire percorsi obbligati. Che cos’ha di veramente suo? Può davvero dire: “Io sono me stesso?”
Quell’io che crede di essere è qualcosa che si è costruito da solo, o è una maschera che gli è stata imposta? E anche quando se la toglie, trova un essere autentico o solo un’altra maschera, come nelle scatole cinesi?
Sì, l’unica cosa veramente sua è la propria consapevolezza. Ma, se è un uomo integrato, anche questa consapevolezza seguirà i canoni che il sistema gli ha predisposto. E, se non è integrato, sarà una consapevolezza di mancanza, di vuoto.
L’uomo che apre dolorosamente gli occhi scopre che non ha niente di autentico, che non ha scelto niente nella propria esistenza, che è un semplice numero o un mattone di un edificio di cui gli sfugge il progetto. Nessuno gli ha chiesto il permesso, nessuno gli ha chiesto un parere. E, quando sarà morto, dopo poco tempo nessuno si ricorderà di lui. Sarà uno dei tanti uomini che sono passati su questa terra e che non hanno lasciato traccia.
Questo sentimento di sostanziale insostanzialità ed estraneità al mondo in cui ci troviamo gettati non è un’esperienza dell’uomo moderno, anche se oggi è accentuato dalla società si massa, dove l’uomo è agito da mille poteri, più o meno occulti, che gli impongono come comportarsi dalla culla al funerale, e che stabiliscono che cosa dovrà decidere, che cosa dovrà pensare e sentire, quali beni dovrà comprare, e quanto e come potrà amare.
Se è stato condizionato da qualche religione, i preti gli diranno che è stato creato da un Dio che resta il padrone della sua vita e della sua morte, e che poi, per di più, lo giudicherà. Se si conformerà e ubbidirà a questo Potere, sarà ricompensato; se si ribellerà, sarà punito- proprio come succede su questa terra. Anche in questo caso, dunque, non sarà libero, ma dovrà scegliere ciò che è già stato deciso per lui. Aut…aut.
Quando ci si trova in un ambiente chiuso (per esempio una prigione) in cui le regole sono già state stabilite altrove, si può reagire in due modi: adattarsi cercando di trarne il meglio e dimenticandosi delle mura, oppure cercando di ricordarsi che si è imprigionati e non rinunciando mai alla speranza di varcare quei confini.
La società fa di tutto per far dimenticare all’individuo il proprio stato di costrizione, il fatto di non essere veramente libero e di muoversi come una marionetta i cui fili sono tirati da qualcuno. La famiglia, la scuola, lo Stato, la religione, ecc. creano regolamenti, identità, funzioni, desideri, finalità e maschere in cui l’individuo deve impegnare tutto il tempo e le energie a sua disposizione, in modo che non debba mai fermarsi a pensare a sé - al suo vero sé, al sé libero che può autodeterminarsi e scegliersi.

Ma comunque l’uomo ha a disposizione la propria consapevolezza, la propria insoddisfazione, che gli permette di pensare a tutto questo e a capire che esiste un’altra strada, un altro mondo, un altro modo di essere vivo. Tutto parte da lì, dalla sua coscienza infelice.

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