domenica 1 febbraio 2015

Civiltà perdute

Non sempre la concezione dell’uomo riguardo la vita e dei suoi rapporti con la natura e Dio, è stata drammatica, come nella tradizione giudaico-cristiana e nel buddhismo. Qualche civiltà del passato ha anche espresso il piacere di vivere e di trovare un’armonia con le forze cosmiche.
Un esempio è la civiltà vedica, quella che ha dato origine ai quattro Veda. Questi testi sono costituiti da inni che celebrano la pienezza della vita e il piacere di vivere. Qui non c’è il senso di colpa che sta alla base della civiltà guidaico-cristiana né la cupa visione della vita che troviamo alla base del buddhismo.
La vita umana è qualcosa di bello, di piacevole, di luminoso e di glorioso. Gli autori degli inni ringraziano le divinità per i beni che sono stati loro concessi: esistenza, figli, bestiame, salute, case, ecc. e si rendono conto che si tratta di grandi doni, di doni preziosi, che vogliono apprezzare e utilizzare fino in fondo.
Essi non ignorano il male né minimizzano la sofferenza, ma partono dal principio che lo stato naturale dell’uomo sia la felicità e la pace, dato che l’uomo e il cosmo cooperano per così dire per la buona riuscita del tutto. E ciò è sempre possibile.
Non c’è insomma l’idea di altre religioni che il mondo sia decaduto, che l’uomo sia corrotto e che tutti debbano vivere più o meno insoddisfatti, più o meno infelici, in attesa di raggiungere una vita piena solo nell’aldilà.
Questi uomini erano dominati dal desiderio di vivere bene, di essere felici, e non sentivano il bisogno di concepire un mondo ideale (come in Platone) né di assolvere Dio dalla responsabilità del male ributtandola sulle spalle degli uomini e di qualche fantomatico peccato originale.
Credevano in un’altra vita dopo la morte, ma non ritenevano l‘attuale esistenza una degenerazione di qualche modello ideale.
Ecco perché la loro religiosità si esprimeva con inni, con canti, spesso poetici, in cui la contemplazione dei beni della vita si trasforma in una forma di estasi, che trabocca ancora oggi sul lettore.
Siamo lontani da una contemplazione tutta centrata su Dio, sull’Uno, che vuole allontanare dalle miserie e dalle sofferenze della vita per trovare la pace solo in un mondo soprannaturale.
Anche qui il culto fondamentale è il sacrificio. Ma il sacrificio – degli animali e dell’uomo stesso – non è concepito come una forma di espiazione di qualche peccato, ma come uno scambio cosmico dell’energia vitale che serve ad arricchire e a consacrare l’intero creato.
C’è soprattutto l’idea che il benessere non è soltanto qualcosa di materiale, ma anche qualcosa che favorisce il progresso spirituale, perché aiuta a sentirsi in pace e in armonia con il mondo.
La felicità è la condizione di base, che tutti hanno il diritto e il dovere di ottenere.

La felicità è la pienezza della vita in tutti i suoi aspetti.

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