"Teologia" è il nostro ragionamento su Dio e il divino,
è la mente umana che, utilizzando la propria logica, cerca di capire qualcosa
della trascendenza. Non c'è niente di male, naturalmente. Ma non si pretenda
che valga qualcosa. Tutta la teologia infatti parte dal presupposto che la
ragione possa comprendere la trascendenza, il divino. Ma questo presupposto può
essere contestato. Prima di ragionare su Dio, domandiamoci se la mente umana
possa farlo e se il mondo sia ordinato secondo la nostra stessa logica. E,
soprattutto, domandiamoci che cosa significhi "conoscere" Dio. Se per
conoscere intendiamo approdare alle fiacche formule della teologia ("Dio è
il bene, è amore, è assoluto, ecc.), in realtà non stringiamo niente: rimangono
concetti, astrazioni, filosofia... senza costrutto, senza utilità. Tutto rimane
come prima, dentro e fuori di noi.
Dio sarà anche potente e soddisfatto. Ma l’uomo ha mille problemi
e sofferenze.
Se invece per "conoscere" partiamo dalla nostra sete di
infinito, dal nostro bisogno di superare qualsiasi limite (anche verbale) - e
se questa è la nostra trascendenza o il nostro Dio -, allora il discorso si
sposta dalla conoscenza intellettuale, che non dice nulla di interessante, all'esperienza.
Che tipo di esperienza? Ovviamente un'esperienza di liberazione e di
superamento.
Quando possiamo ottenere - o almeno avvicinarci - a un simile
stato? Non certo quando pensiamo in termini di tradizioni, di teologie, di
filosofie, di religioni, ecc., ma solo quando trascendiamo tutte queste cose...
quando cioè ci liberiamo dalla mente stessa. È possibile farlo? Pensiamo per
esempio allo Zen. Quando un discepolo vuol parlare della verità, della
meditazione o dell'assoluto, il maestro zen incomincia a sbadigliare. I soliti
labirinti della logica, i soliti giochi di parole. Se vuoi conoscere per
esempio che cosa sia un vaso, è inutile che lo definisci e lo pensi in mille
modi - devi piuttosto prenderlo in mano.
Ma nel caso di Dio, del divino o della trascendenza che cosa
possiamo afferrare? Ovviamente niente. Niente sarà sufficiente a definirlo, a
racchiuderlo, a delimitarlo. Perché è proprio l'illimitato. E, allora, non
rimane che fermare la mente indagatrice. Lì nel vuoto, liberi da tutti i
concetti teologici possiamo cogliere qualche riflesso di verità.
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