Sì, la condizione
umana è paradossale. L'uomo, che è un animale, è insoddisfatto di esserlo, e
vorrebbe essere qualcosa di più: un essere divino, la discendenza di qualche
dio. Questa sua insoddisfazione, questa sua ansia, è da una parte sofferenza e
dall'altra parte un segno di effettiva nobiltà. È incredibile quanto l'uomo
abbia lottato e sofferto per affrancarsi dalla natura e diventare il re del mondo.
Quale forza lo ha sostenuto?
La coscienza di essere, che è la sua gloria, è anche la fonte
della sua angoscia quando capisce che dovrà morire. Gli dei hanno riservato per
sé la vita eterna, ma hanno escluso l'uomo. La ricerca scientifica, la ricerca
religiosa, la ricerca spirituale sono sempre in fondo una ricerca di
immortalità o almeno un tentativo di allungare il più possibile l'esistenza. Ma
sembrano esserci limiti invalicabili. E, allora, ecco le elucubrazioni su una
possibile sopravvivenza ultraterrena, su un altro mondo, su un'altra vita.
Dagli uomini delle caverne agli imperatori cinesi, dagli antichi egizi agli
alchimisti, tutti hanno cercato un rimedio contro la morte, l'elisir per
l'immortalità. E ancora oggi è così. Si scruta nell'infinitamente grande e
nell'infinitamente piccolo alla ricerca dei modi per prolungare la vita.
Ma intanto le malattie ci falcidiano, la
vecchiaia non perdona nessuno e la morte è sempre lì, in agguato. Avremo
un'anima? Siamo destinati al nulla? Le religioni ci parlano di paradisi e
inferni, e il buddhismo, pur negando l'esistenza di un sé, ci parla di un
nirvana, che non è comunque un nulla.
Viviamo sull'abisso, continuamente
dilaniati da esigenze contrapposte. Dovremmo rilassarci, ma è difficile farlo
dato che vivere è una tensione continua. Come uscire dalla contraddizione? Lo
Zen ha ben evidenziato questa situazione nei suoi paradossi. Prendiamo il caso
dell'uomo e della tigre.
Un uomo stava camminando nella foresta
quando s'imbatté in una tigre. Fatto dietro-front precipitosamente, si mise a
correre inseguito dalla belva. Giunse sull'orlo di un precipizio, ma per
fortuna trovò da aggrapparsi al ramo sporgente di un albero.
Appeso per le braccia, guardò in basso e
vide sotto di sé un'altra tigre. Come se non bastasse, arrivarono due grossi
topi che incominciarono a rodere il ramo. Ancora un po' e il ramo si sarebbe
spezzato.
Fu allora che l'uomo scorse un frutto
maturo. Tenendosi con una mano sola, lo colse e lo mangiò.
Com'era buono!
Ecco, questa è la nostra situazione.
Prima della fine o della rinascita, tra l'essere e il nulla, c'è una
successione di attimi ancora da vivere. Rifiutandosi di cedere tanto allo
sconforto quanto alla speranza, lasciando perdere sia il passato sia il futuro,
c'è il momento presente... in cui si può - e si deve - gustare quello che ci
viene offerto.
Con tutti i nostri difetti, noi uomini
siamo degli eroi. E, in tal senso siamo superiori, agli dei.
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