Ogni tanto seguo l’insegnamento buddhista, perché mi sembra molto
logico. Quando il Buddha afferma che la vita è dukkha (dolore) non
intende dire che in questo mondo tutto è sofferenza, ma che non è possibile
eliminare uno stato di insoddisfazione praticamente permanente.
Innanzitutto, ci sono le quattro fasi dell'esistenza da cui
nessuno può sfuggire: la nascita, la malattia, la vecchiaia e la morte. E poi
ci sono varie forme di dolore: la sofferenza di essere separati da coloro che
amiamo, la sofferenza di vivere con coloro che odiamo, la sofferenza di non
poter avere quello che vogliamo e tutte le sofferenze del corpo. Vi risulta di
essere stati risparmiati da qualcuno di questi dolori?
Ma se pensiamo che la sofferenza sia semplicemente una sensazione
spiacevole e che sia eliminabile con una sensazione opposta di piacere, ci
sbagliamo. È proprio questo che noi facciamo: cerchiamo tutta la vita
sensazioni piacevoli, fisiche e mentali. Però sappiamo anche che questo non
basterà a cancellare il dolore. E, in effetti, qualunque sensazione piacevole
ha un aspetto per così dire negativo: non dura. Non dura, è fugace, è
temporanea; e, quando sparisce, lascia un senso di mancanza e di
insoddisfazione. È un po' come una droga: sul momento dà un senso di euforia,
ma poi l'effetto sparisce e rimaniamo più scontenti di prima. E già questo ci
dice che viviamo in un mondo duale, in un mondo effimero, in cui niente è
stabile (per fortuna nemmeno la sofferenza).
Ora, il Buddha ci dice che all'origine
della sofferenza c'è il desiderio, ossia una specie di sete o di bramosia che
non si accontenta mai. Desiderio di essere, desiderio di diventare, desiderio
di crescere, desiderio di felicità, desiderio di amore, desiderio di figli,
desiderio di perdurare, desiderio di essere ricchi, desiderio di potere,
desiderio di riconoscimento... l'elenco è infinito. C'è anche il desiderio di
non-essere quando le cose ci vanno male e pensiamo alla morte come via di
liberazione. Insomma la vita è tutta un desiderare - è questo il suo carattere
distintivo. Ma desiderare significa soffrire, perché chi desidera prova dentro
di sé una mancanza.
A questo punto, la logica suggerisce che
la via d'uscita sarebbe sopprimere il desiderio. Ma qui bisogna stare attenti a
non buttare via il bambino con l’acqua sporca. Perché tra i tanti desideri c'è
anche quello che animava il Buddha e tanti altri: il desiderio di sopprimere il
desiderio, il desiderio di liberazione da questo ciclo ripetitivo e dualistico.
Come quando diciamo: non ne posso più di questa situazione, voglio uscirne! È
chiaramente un desiderio anche questo, e ben forte.
Ma bisogna arrivarci - e i più non ci arrivano affatto: continuano
a inseguire le sensazioni piacevoli, continuano a sognare uno stato di felicità
durevole, continuano a correre lungo questa riva del fiume senza tentare di
andare oltre. Tutto sommato, anche sognare un qualche paradiso rientra tra i
desideri meschini. Il Buddha lo ha previsto: secondo lui esistono altri piani
di realtà o altri mondi popolati da esseri che si trovano in uno stato migliore
del nostro (d'altronde, non ci vuole molto), ma - attenzione - neppure loro
sfuggono alla morte e forse sono troppo instupiditi dalla vita facile; un po'
quello che succede ai nostri ricchi, che a forza di essere serviti e riveriti
diventano sempre più fragili e scemi. Ed è possibile che i nostri dèi
appartenessero a questa categoria – perché, alla fine, come è evidente, sono
defunti...
Ma fra le tante nostre sventure, una
fortuna ce l'abbiamo. Siamo in un mondo mediano, che proprio per le sue
caratteristiche e per le sofferenze ben calibrate con le gioie, è il più adatto
a tentare la via della liberazione. Abbiamo tutte le doti per farlo - ci manca
solo un po' di consapevolezza e di buona volontà. Però, piantiamola di farci
trascinare da desideri di bassa lega: liberazione non significa approdare in
qualche terra beata, in qualche paradiso di idioti che stanno tutto il giorno a
biascicare le lodi del Potente di turno. Ne abbiamo già troppi di questi lacché
sulla terra. Almeno miriamo in alto. Sbarazziamoci di tutto il baraccone -
vita, morte, paradisi, religioni e gerarchie comprese.
E seguiamo non i dogmi, ma solo quelle
vie che ci sembrano sensate e che possiamo verificare di persona.
Nessun commento:
Posta un commento