Il treno ad alta velocità (TAV) per cui si sta discutendo
accanitamente non è, come dicono i detrattori, un semplice collegamento
Torino-Lione, ma un’intera linea europea che parte dalla Spagna, attraversa
l’Europa e arriva in Ucraina: un collegamento internazione che sarebbe
utilissimo per i porti e le industrie italiane che trovano sempre nelle Alpi un
grande ostacolo, una strozzatura. Si tenga presente che questo corridoio, se
non passasse per l’Italia, proseguirebbe comunque a Nord delle Alpi tagliandoci
fuori.
I Cinquestelle sono in realtà contrari per motivi ideologici, ma
non tengono conto dei benefici che questa linea rappresenterebbe per l’Italia.
La loro è una pregiudiziale negativa verso qualsiasi grande opera. Il che è un
assurdo, visto che siamo in piena recessione e che loro non hanno nessun piano
di sviluppo del lavoro. Anzi, sono il partito della decrescita. Sono per
fermare tutto.
Non si tratta di fare i conti della serva, ma di avere una
visione complessiva dello sviluppo dell’Italia.
Da che mondo è mondo, dalla recessione si esce velocemente, come
insegna Keynes, facendo grandi investimenti pubblici. E il TAV sarebbe come
manna dal cielo.
Viceversa, fermare il TAV e le altre grandi opere ci porterebbe
ad una regressione mai vista in Italia, con una disoccupazione a cui il reddito
di cittadinanza non potrebbe portare rimedio.
Infine, con la TAV noi ci siamo impegnati con la Francia e con
l’Europa. E, se bloccassimo tutto, confermeremmo lo stereotipo secondo cui
siamo un popolo infido e disonesto, senza principi, cialtroni che non hanno mai
finito una guerra con quelli con lui l’avevamo cominciata. La stessa idea
potrebbe ora trasferirsi in campo economico e nessuna farebbe più accordi con
noi.
C’è chi vuol favorire il progresso e chi lo vuol fermare. E
ognuno si assuma le proprie responsabilità. Ma sia chiaro agli elettori chi è
in Italia che rema contro.
I Cinquestelle dicono che l’opposizione alla TAV fa parte della
loro origine identitaria. Ma che identità può mai essere quella di un partito che
si fonda sul “non fare” anziché sul fare? Può stare al governo un partito del “non
fare”?
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