Troppo
spesso la nostra mente è in preda a una folla di pensieri incontrollati, a un
rimuginio senza sosta, a un dialogo senza costrutto - spezzoni di frasi,
ricordi, fantasie, persone immaginarie, situazioni irreali, pulsioni
velleitarie, sogni ad occhi aperti, considerazioni amare, speranze illusorie...
in un caos senza capo né coda. Questo è il primo problema della meditazione -
ma anche la prima presa di coscienza. Tutta questa attività febbrile, tutti
questi pensieri creano una specie di velo tra noi e la realtà. È come quando si cammina telefonando: ciò che
diciamo o ascoltiamo ci distrae dalla realtà esterna... e magari finiamo in un
tombino.
Ecco due metodi per uscire da questa
situazione di alienazione. Considerare i pensieri come qualcosa che viene
dall'esterno e alzare una barriera - di attenzione - per respingerli o
ignorarli.
Oppure considerare il nostro vero sé come
un Testimone di una mente invasa dai pensieri. Anche in questo caso
osserviamoli come corpi estranei e poi accantoniamoli o lasciamoli cadere, come
se non fossero nostri. Noi siamo il Testimone, non i pensieri.
Lo scopo è costituire un nucleo
incontaminato al nostro interno, un centro di consapevolezza che non venga
toccato dalle ondate delle attività mentali. Ritrovare la quiete e il silenzio
mentali.
Questo vuoto mentale non deve trasformarci
in idioti inconsapevoli, ma deve rendere la nostra mente ancora più chiara e
lucida. È un esercizio di pulizia, di purificazione.
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