Le religioni riconoscono in genere che questo è un mondo molto
imperfetto in cui è impossibile non soffrire. Tutti devono invecchiare,
ammalarsi, morire; e poi ci sono le sofferenze sociali: l’invidia, l’abbandono,
la competitività, le perdite, i confronti, gli scontri, le delusioni, ecc.
Da questo riconoscimento nasce l’idea che dopo la morte ci sarà
un altro mondo, migliore di questo.
Ma, se esiste un altro mondo, esiste un’altra sofferenza.
Non ci si libera dalla sofferenza passando da un mondo all’altro;
tutt’al più, si potrà diminuire, ma non cancellare. L’esistere stesso è
collegato al soffrire, perché esiste comunque una tensione, una necessità di
acquisire e scambiare energia, che non permette uno stato duraturo di felicità.
Potrete semmai coltivare un accorto equilibrio, già da adesso. Ma niente che
possa essere stabile.
Per esempio, se avete una moglie o un marito, avrete una
possibilità di soffrire. Se avete una moglie e un figlio, avrete due possibilità
di soffrire. Se avete una moglie, un figlio e due genitori, avrete quattro
possibilità di soffrire, eccetera, eccetera. Non a caso, i monaci si
impediscono di avere relazioni sociali. Dove c’è una relazione o un legame, là
c’è una possibilità in più di sofferenza.
Però, anche se non avrete legami, finché non vi libererete dell’ultima
relazione – quella con voi stessi – sarete soggetti alla sofferenza.
I più ingenui poi pensano che potranno ricostituire queste
relazioni nell’altro mondo senza portarsi dietro la sofferenza.
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