Quando entriamo
in una chiesa cristiana, ci rendiamo subito conto che abbiamo a che fare con
un'espressione dell'antico (e mai morto) paganesimo: statue, quadri, affreschi,
vetrate dipinte, ecc. Talvolta si tratta di opere d'arte, talvolta di
paccottiglia di cattivo gusto. Ma quel che si nota è che tutto è predisposto
non per pensare a Dio, ma per pensare ad altro. Almeno nei templi musulmani
regna il vuoto e il divieto di riprodurre immagini, il che predispone il fedele
a concentrarsi sulla trascendenza. Invece nel culto cristiano si fa di tutto
perché la mente sia distratta. Il cristiano non sa neppure più dove si trovi o
che cosa sia Dio; è abituato a vedersi mediare ogni slancio spirituale dalle
immagini di qualche Cristo, di qualche Madonna o di qualche santo.
D'altronde, che molti miti cristiani
siano stati presi dal paganesimo è evidente. Per esempio, il mito
dell'accoppiamento di Dio con una vergine terrestre è semplicemente l'ultima
avventura del buon vecchio Zeus. Ecco come ne parla scherzosamente Osho, che
racconta la seguente storiella:
"Dio è depresso. San Pietro
suggerisce di fare un viaggio sulla Terra e abbordare una simpatica ragazza
greca, possibilmente vestita come all'epoca classica, con un semplice
gonnellino molto al di sopra del ginocchio.
"Dio commenta: 'No, un tempo la cosa
mi divertiva, e per secoli le ragazze greche mi hanno veramente appassionato.
Ma da quella volta in cui feci l'errore imperdonabile di andar dietro a una
giovane ebrea, duemila anni fa... maledetti loro, ancora ne parlano' "
[Osho, La mente che mente, Feltrinelli, 2006].
Non c'è quindi da meravigliarsi che la
civiltà cristiana sia diventata quello che è: la prevalenza dell'apparire sull'essere.
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