giovedì 28 aprile 2016

La presenza

Quando ci dicono di osservare la mente, forse non capiamo che cosa dobbiamo fare.
Si tratta di notare a che cosa stiamo pensando o che cosa stiamo provando. Ci sono pensieri? Ci sono emozioni?
La mente è una specie di schermo su cui scorrono eventi e con cui ci identifichiamo. Tali eventi sono discontinui, perché sorgono e cessano, e, talvolta, c’è un momento di immobilità in cui possiamo cogliere solo la presenza dello schermo.
Noi abbiamo l’impressione che questi eventi mentali si riferiscano ad un unico soggetto: l’io. Ma, se ci domandiamo chi provi questi pensieri e questi sentimenti, non riusciamo a trovarlo. Non è enucleabile come un pensiero: è qualcosa che sfugge.
La ricerca sembra dunque infruttuosa. Sentiamo l’io, ma non lo troviamo. È qualcosa di evanescente.
Una situazione paradossale: la nostra massima certezza è anche la più sfuggente. C’è una presenza, ma non c’è chi è presente.
Ma l’io di che cosa è fatto? Indubbiamente c’è un corpo visibile e tangibile; però l’io non si riduce a questo.
È qualcosa di immateriale. È come avvertire in una stanza la presenza di qualcuno (forse da un fruscio, da un riflesso, da uno spostamento d’aria o da un odore) senza riuscire a identificare la persona. Chi è presente?
L’addestramento sta proprio in questo: avvertire questa presenza e poi cercarla di renderla stabile, perché si tratta proprio della nostra natura fondamentale, un’energia pulsante permeata di chiarezza.
Il problema è che noi cerchiamo di farne un oggetto di conoscenza dividendoci in due. E invece la presenza è uno stato di immedesimazione in cui non c’è più distanza tra soggetto e oggetto.


Nessun commento:

Posta un commento