Tra le cause delle difficoltà umane a
progredire c’è il tipo di rapporto che abbiamo instaurato tra chi insegna e chi
apprende – un tipo di rapporto che, tra l’altro, si estende all’intera
struttura educativa.
Da una parte c’è il maestro che ha le
conoscenze e dall’altra c’è il discepolo che non ha nulla.
Se questo tipo di rapporto ha una sua
ragione d’essere nella scuola, non ce l’ha più in campo spirituale, dove la conoscenza
non può essere travasata sic et
simpliciter.
In tal modo si deresponsabilizza il
discepolo, che rimane passivo e non fa ricorso alle sue doti interne. È come se
la luce dovesse scendere dall’alto e investirlo, mentre la luce da sviluppare è
quella interiore.
In tal modo si blocca ogni processo di
risveglio.
Ci accontentiamo di formule e di
definizioni. Ci mettiamo una tonaca e diventiamo preti. Raggiungiamo una laurea
e ci definiamo “dottori”. Veniamo eletti al parlamento e ci danno il titolo di
“onorevoli”. Insegniamo una dottrina o una filosofia e ci chiamano “maestri”.
Ma a noi interessa ciò che sta sotto le
vesti e i titoli: l’uomo essenziale.
Come dice lo zen, dobbiamo cercare e
stimolare l’uomo senza titoli, senza qualifiche, senza maschere: l’uomo nudo.
È questo uomo nudo che ha in sé le doti
di illuminarsi, e nessun maestro può sostituirsi a lui.
Ogni allievo ha il maestro in sé: è
questo che dobbiamo capire. E prostrarsi al piede di qualche maestro può
bloccare l’intero processo evolutivo.
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