sabato 30 aprile 2016

Le quattro riflessioni

Esistono pratiche che, pur appartenendo ad una tradizione spirituale, sono valide in qualsiasi religione. Prendiamo le quattro riflessione del buddhismo:

1)   La vita umana è preziosa, è un’opportunità che non viene data a tutti (pensiamo all’enorme quantità di animali) e non va sprecata. Si è aperta per noi una finestra da cui non possiamo non guardare, di cui non possiamo non approfittare.
2)   Tutto è impermanente: dal più piccolo atomo allo stesso universo tutto cambia di continuo e tutto è destinato ad estinguersi. È una legge di natura che vediamo applicata dappertutto e non c’è niente da fare.
3)   Ogni nostra azione ha conseguenze, buone o cattive che siano, per noi e per gli altri, anche se non sempre siamo in grado di calcolarle. Tutte le cose infatti si presentano interconnesse e il cambiamento nell’una si ripercuote sul cambiamento delle altre. Anche questa è una legge di natura che non può essere negata.
4)   Niente al mondo può offrirci una felicità duratura. Anche questa è un’osservazione ineccepibile. Poiché tutto è in continuo cambiamento, non possono esserci condizioni a lungo stabili, né nel bene né nel male.

Queste quattro riflessioni, che sono condivisibili da ogni essere umano, dovrebbero indurci a prendere provvedimenti. La nostra vita, per quanto possa durare, è comunque breve e la morte ci attende tutti. Che fare?
Quasi tutti cerchiamo di godere e di arraffare il più possibile, ma nessuno può sfuggire a sconfitte e sofferenze: anche questa è una semplice constatazione. Che si creda o no in un’altra vita, dobbiamo comunque ottimizzare la nostra esistenza, perché non è detto che tutto ci vada bene e che la ricerca della felicità ci eviti malattie, perdite, invecchiamento e morte (nostra e altrui). Insomma, dobbiamo prepararci al peggio e ad affrontare ogni genere di difficoltà.
Ma questo è possibile solo se ci centriamo, solo se troviamo il nostro stesso fondamento. E dov’è questo fondamento? Se lo pensiamo fuori di noi, un Dio per esempio, non acquisiamo né una difesa né una strategia personali, e dobbiamo abbandonarci fatalisticamente al destino. Sarà quel che sarà.

Se invece troviamo questo centro in noi, nel fondo di noi stessi, la situazione cambia. Possiamo cogliere finalmente il bandolo della matassa – un bandolo che potrebbe essere al di là della vita e della morte - e possiamo capire come comportarci.

venerdì 29 aprile 2016

Lo stato naturale della mente

Se ci sforziamo di trovare lo stato naturale della mente, ovviamente otteniamo il risultato contrario. Sforzandoci, infatti, finiamo per destabilizzare questo stato e stimolare le attività mentali che lo velano.
Occorre dunque procedere al contrario, attraverso una forma di rilassamento, di purificazione e di quiete mentale.
Lo stato originale della mente è sempre presente, come il cielo limpido sotto strati di nuvole, e talvolta trapela spontaneamente. Questo è dovuto alla discontinuità delle attività mentali. Se osserviamo per esempio un pensiero, vediamo bene che sorge, dura un po’ e poi scompare. Così, fra due pensieri, vi è un istante di vuoto… in cui traspare l’azzurro.
Ma, per coglierlo, dobbiamo prestare attenzione e quindi compiere un minimo di sforzo.
Per evitare che lo sforzo si trasformi a sua volta in una nuvola oscurante, conviene ripetere spesso il tentativo di riconoscimento, senza insistere a prolungarlo.
Più volte, durante il giorno, chiudiamo gli occhi, tratteniamo il respiro, concentriamoci il più a fondo possibile e cerchiamo di cogliere l’intervallo tra due pensieri o stati d’animo.
In tal modo ci addestriamo a riconoscere lo schermo che sta al di sotto delle attività mentali, il quale ha la prerogativa di essere chiaro, sereno e non-duale.
Per alcune tradizioni spirituali, questo stato è la nostra pura essenza e coincide con lo stato di risveglio dai sogni, dalle illusioni, dalle divisioni e dalle proiezioni mentali.
Secondo il buddhismo tibetano, lo stato primordiale della mente è la pura consapevolezza che viene velata dalle varie attività mentali.
Si parla infatti di tre veleni (desiderio, rabbia, ignoranza), di 51 fattori mentali, di 80 stati del pensiero e di 84000 emozioni disturbanti. Ce n’è per tutti.
Non so se i calcoli siano giusti, ma questo ci dà un’idea della potenza oscurante della mente. Sono infatti queste attività mentali che fanno girare la “ruota del samsara”, ossia il mondo in cui viviamo.
Si capisce allora perché, per ritrovare la pace iniziale, lo stato risvegliato o la consapevolezza primordiale, sia necessario prima rallentare e poi sospendere tutte queste attività mentali o, comunque, la maggioranza.


giovedì 28 aprile 2016

La presenza

Quando ci dicono di osservare la mente, forse non capiamo che cosa dobbiamo fare.
Si tratta di notare a che cosa stiamo pensando o che cosa stiamo provando. Ci sono pensieri? Ci sono emozioni?
La mente è una specie di schermo su cui scorrono eventi e con cui ci identifichiamo. Tali eventi sono discontinui, perché sorgono e cessano, e, talvolta, c’è un momento di immobilità in cui possiamo cogliere solo la presenza dello schermo.
Noi abbiamo l’impressione che questi eventi mentali si riferiscano ad un unico soggetto: l’io. Ma, se ci domandiamo chi provi questi pensieri e questi sentimenti, non riusciamo a trovarlo. Non è enucleabile come un pensiero: è qualcosa che sfugge.
La ricerca sembra dunque infruttuosa. Sentiamo l’io, ma non lo troviamo. È qualcosa di evanescente.
Una situazione paradossale: la nostra massima certezza è anche la più sfuggente. C’è una presenza, ma non c’è chi è presente.
Ma l’io di che cosa è fatto? Indubbiamente c’è un corpo visibile e tangibile; però l’io non si riduce a questo.
È qualcosa di immateriale. È come avvertire in una stanza la presenza di qualcuno (forse da un fruscio, da un riflesso, da uno spostamento d’aria o da un odore) senza riuscire a identificare la persona. Chi è presente?
L’addestramento sta proprio in questo: avvertire questa presenza e poi cercarla di renderla stabile, perché si tratta proprio della nostra natura fondamentale, un’energia pulsante permeata di chiarezza.
Il problema è che noi cerchiamo di farne un oggetto di conoscenza dividendoci in due. E invece la presenza è uno stato di immedesimazione in cui non c’è più distanza tra soggetto e oggetto.


mercoledì 27 aprile 2016

Bagliori di illuminazione

Quando siamo liberi dal pensiero concettuale (e delle emozioni perturbatrici) siamo esattamente al centro. Non succede niente di particolare: non compaiono né visioni né esseri angelici. Ma c’è una chiara e vuota consapevolezza.
Questa chiara e vuota consapevolezza, questo stato cristallino, questa visione limpida, è quanto di meglio possa offrirci la vita. Ma dura poco. Perché, subito dopo, sorgono le elaborazioni mentali nonché le ansie, le paure e i desideri.
Il problema dunque è riuscire a permanere il più a lungo possibile in questo stato di equanimità.
All’inizio si tratta di esperienze quasi spontanee che durano pochi istanti, come squarci di azzurro in un cielo nuvoloso.
Ma lo scopo dell’addestramento è proprio questo: riuscire a dimorare in pace in uno stato del genere.
In sostanza il percorso è prima comprendere intellettualmente, poi riconoscere lo stato di chiarezza e infine renderlo stabile.

Questa chiarezza è il primo bagliore di ciò che chiamiamo, non a caso, illuminazione.

Il pericolo del successo

Per un maestro spirituale il momento peggiore è quando ha successo e incomincia ad avere molti seguaci che lo lodano e lo venerano.
Qui c’è il rischio che si trasformi in un esibizionista, come succede a certi leader religiosi che si mettono un vestito pittoresco, organizzano belle cerimonie e si mettono a pontificare.
Da quel momento smettono di ricercare e si trasformano in uomini di spettacolo, senza alcuna sostanza. Ripetono cose cui neppure loro credono. E finiscono per ritenersi grandi, speciali, indispensabili e buoni.

Come si dice in Tibet, ci sono molti “ostacoli spiacevoli” che tutti più o meno riconoscono. Ma pochi riconoscono quell’ “ostacolo piacevole” che è il successo.

La diffusione della meditazione

La meditazione, pur avendo un’origine antica, è certamente la spiritualità del futuro.
Segnalo a questo proposito un articolo scritto da Irene Maria Scalise su Repubblica.it:


Che cosa vi si dice sostanzialmente? Che in tutto il mondo i centri di meditazione sono in espansione e quelli già presenti sono sempre esauriti. Dal Nepal alla Grecia, dalla Birmania alla Toscana, dalla Corea al Giappone, dalla Francia alla California, non si trova più un posto libero. In America i praticanti sono più di 18 milioni.
I corsi del dhamma, per lo più gratuiti, durano una decina di giorni e sono basati sul silenzio, sulla dieta e sullo yoga. Naturalmente bisogna tener chiusi telefoni e tablet. Lo scopo è infatti quello della disintossicazione psico-fisica.
La meditazione, si precisa, “elimina la sofferenza inutile della vita” cancellando le ansie sul futuro e i rimpianti per il passato. Producendo “una maggior consapevolezza degli automatismi” mentali, insegna, “tramite il respiro, a staccarsi dal flusso dei pensieri e a controllare le turbe.”



martedì 26 aprile 2016

Il mistero dell'incarnazione

Siamo continuamente in presenza della nostra mente dualistica, ma non la vediamo.
Siamo continuamente in presenza della nostra natura illuminata, della nostra vera natura – una chiara vacuità -, ma non la vediamo.
Che cosa vediamo, allora? Nient’altro che le nostre proiezioni mentali… ormai radicatesi e incarnatesi in un mondo che si sembra solido.
Questo è il vero mistero dell’incarnazione: come da “pensieri” immateriali sorga un universo che ci sembra materiale.

Ma l’immaterialità e il vuoto trapelano da tutte le parti, se solo stiamo attenti.

La vacuità utima

Le nostre idee sulla vacuità come natura ultima delle cose, tratte in realtà da antiche religioni orientali, sono confermate dalle più recenti scoperte della fisica, in particolare dagli studi del famoso astrofisico Stephen Hawking sui buchi neri.
Nei buchi neri, vi è un orizzonte degli eventi, un margine, oltre al quale ogni cosa viene risucchiata al loro interno e finisce nel “nulla”.

Si conferma così il cosiddetto “paradosso delle informazioni”, secondo cui la storia e la memoria non sono altro che illusioni mentali.

lunedì 25 aprile 2016

Il giorno della liberazione: 25 aprile 2016

Ma liberazione da che? D’accordo dal nazifascismo.
Peccato che siano stati proprio gli italiani a inventare il fascismo e a sposarlo entusiasticamente per vent’anni. Non si può proprio dire che siano un popolo che ami la libertà.
È il loro antico vizio: cercare l’uomo della Provvidenza che risolva tutti i loro problemi. E diventarne schiavi. Un’idea che viene diritta dal cattolicesimo. E, infatti, il Papa di allora parlò di nuovo, a proposito di Mussolini, dell’uomo della Provvidenza. E subito si mise al suo servizio, cercando di trarne ogni vantaggio.
Fascismo e Chiesa si trovarono così d’accordo nell’imporre il loro duplice dominio, spalleggiandosi a vicenda. Il Papa benediva i fascisti e il Fascismo strinse patti con la Chiesa, togliendola dall’isolamento in cui era finita dopo la presa di Roma e concedendole enormi vantaggi.
Possiamo dire che gli italioti si siano mai liberati da questo clerico-fascismo? Certamente no. Basti vedere come ancora oggi il Papa campeggi nei mass-media statali e in tutti gli altri e come venga generosamente foraggiato, a suon di miliardi di euro, dallo Stato italiano. Basti vedere come di recente si sia tentato di fare di Berlusconi un altro uomo della Provvidenza, che di nuovo, come tutti gli uomini della Provvidenza, ha provocato danni incalcolabili, paragonabili a quelli di una guerra persa (un terzo della capacità produttiva distrutta).
Ancora oggi la Chiesa è la cattiva consigliera degli italiani, proponendo leggi e concezioni autoritarie e reazionarie, che fanno dell’Italia un paese arretrato, da cui bisogna emigrare.  
Con la sconfitta nell’ultima guerra, l’Italia ha pagato un conto salatissimo: più di seicentomila morti e la perdita di interi pezzi del suo territorio. Anche la Germania fu divisa in due, ma ha già recuperato la sua unità e la sua antica grandezza. L’Italia no. Resta sconfitta, umiliata e ridimensionata.
Ma se tutti hanno pagato, la Chiesa non ha mai pagato. Anzi, come se niente fosse accaduto, è ancora lì a dispensare consigli del tutto interessati, a gravare sulle spalle degli italioti e a proporre le sue idee reazionarie.

No, non si può dire che l’Italia si sia liberata. Deve ancora fare tanta strada, deve ancora capire chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Deve ancora spezzare antichi legami di servaggio.

Immedesimazione ed straneazione

Gli attori hanno due metodi di recitazione. Nel primo, l’immedesimazione, si fondono con il personaggio che recitano; nel secondo, l’estraneazione, ne prendono le distanze e si guardano recitare.
Sembrano due metodi contraddittori. In realtà sono due metodi complementari che vanno alternati. Le contraddizioni, infatti, sono tali solo per la logica, ma non per la vita.
Lo stesso avviene in meditazione. Un po’ ci si deve immedesimare in quella particolare rappresentazione che è la vita ed un po’ dobbiamo prenderne le distanze, osservandoci recitare/vivere.
Pensare di vivere non è vivere. Noi, per vivere, dobbiamo fare esperienza diretta delle cose. Però, per fortuna, non siamo solo come gli altri animali e possiamo guardarci vivere.
Non si tratta di due momenti separati, ma di un alternarsi continuo di immedesimazione ed estraneazione. Due momenti di meditazione che si avvicendano rapidamente come yang e yin, come positivo e negativo. Nessuno dei due può fare a meno dell’altro.
Una volta appurati questi due processi, per trovare il nostro fondamento o la nostra natura ultima, dobbiamo alla fine sperimentare il campo unificato, al di là del dualismo naturalistico e mentale.


Parole inutili

Parlare di un’esperienza non è certo viverla. Anzi, è il contrario.
Se dico che la vita è sogno e illusione, forse lo capisco a livello intellettuale, ma non lo sperimento ancora: resto convinto che questo mondo sia reale. E, di solito, quando faccio un’esperienza, mentre la faccio, non ne parlo.
Diceva Lao-tzu che il Tao è ciò di cui non si può parlare, perché è la realtà che non può essere espressa a parole. E Wittgenstein aggiungeva che ciò di cui non si riesce a parlare, è meglio tacere.
Se dico che il fondamento di tutto è vuota chiarezza o pura consapevolezza, dovrei esperirlo, non limitarmi a pensarlo.
Per capire la verità, dovrei farne esperienza - cioè avvicinarmi il più possibile a quella consapevole e vuota chiarezza. E smettere sia di cianciare sia di pensare.
Se ne parlo o anche solo se cerco di pensarla intellettualmente, la tradisco, me ne allontano, entro nel mondo del dualismo mentale che non può, per sua natura, esprimere ciò che è unitario.

Per fare esperienza della realtà fondamentale, devo far tacere ogni parola, ogni pensiero, e farmi vuota e consapevole chiarezza.

domenica 24 aprile 2016

Le forme del vuoto

Dove finisce il nostro essere quando moriamo? Finisce nel nulla.
Ma, allora, da dove viene?
Proprio dallo stesso nulla. Un nulla prima e un nulla dopo, e, in mezzo, l’essere.
Questo nulla, dunque, non è un vuoto assoluto, ma una matrice feconda.
È come la sala cinematografica buia in cui all’improvviso vengono proiettate immagini luminose.
In sostanza, le cose, le “immagini”, sono formate da quel vuoto originale: sono forme del vuoto.
Ogni cosa è vuota – ed il vuoto appare ad ogni istante.

Per esempio, a fondamento di un vaso c’è un certo vuoto. Ma dove va a finire quel vuoto quando il vaso si rompe? La stessa cosa avviene per una casa, per un albero, per una montagna, per un atomo, per un pianeta o per un uomo.

I gradi di interiorità

Quando parliamo di interiorità o di profondità, non ci dobbiamo dimenticare che ne esistono vari livelli.
Non basta chiudere gli occhi e guardare lo spazio vuoto dentro di noi. Si può andare molto più dentro.

Nel punto più interno o profondo si entra nella consapevolezza non dualistica. Ed è lì che dobbiamo allenarci a scendere e a rimanere se vogliamo capire qualcosa dei nostri fondamenti.

L'influenza delle religioni

Le religioni hanno un’enorme importanza nello sviluppo o nel sotto-sviluppo di un paese. Pensiamo solo a certe nazioni dell’Oriente che erano state buddhiste e che, oggi, sono state conquistate e immiserite dall’islam; o pensiamo all’Italia, un paese che, dopo essersi fatto guidare, in campo etico e sociale, dalla Chiesa cattolica, oggi è uno dei più corrotti d’Europa, ed è comunque sempre indietro rispetto alle nazioni dove è prevalso il protestantesimo o altre forme di cristianesimo.
Queste osservazioni erano già state fatte da sociologi , come Max Weber.

Ma resta un’osservazione più generale: che le religioni sono ideologie nate in epoche barbariche, e che, se vogliamo compiere un passo decisivo nell’evoluzione umana, devono lasciare il passo ad una nuova spiritualità, che compendi le conoscenze e le scienze moderne.

sabato 23 aprile 2016

L'ignoranza

L’ignoranza che domina la mente umana si esplica in vari modi:
Cercare l’Assoluto in qualche cielo e non nel nostro essere.
Pregare, inchinarsi e chiedere favori e protezione a qualche Dio senza capire che dobbiamo prima di tutto sviluppare concentrazione, profondità e stabilità che portino alla luce forze divine interiori.
Credere chela verità sia scritta da qualche parte o detenuta da qualche religione e non andare a cercarla personalmente.
Illudersi che ci si possa sviluppare senza sviluppare la nostra stessa coscienza.
Sottomettersi completamente a qualche Autorità rinunciando alla propria dignità.
Ritenersi una nullità mentre si albergano forze divine.
Ritenersi un io isolato e non tener conto dell’interdipendenza universale.
Confondere l’etica col piccolo moralismo religioso.
Sapere quali sono i comportamenti giusti ma non applicarli nella realtà.
Credere che non si debba coinvolgere il corpo nei nostri sforzi di trasformazione.
Non vedere la parte immateriale della materia.
Non tener presente che ogni cosa è soggetta al cambiamento, impermanente e transitoria.
Non avere come meta la liberazione anziché la sottomissione.
Non puntare sulla crescita di imparzialità, distacco e saggezza, anziché nel semplice coinvolgimento nelle cose di questo mondo.
Non capire che il mondo è una nostra rappresentazione e non una realtà solida.

Non comprendere che, più che pregare qualche Dio, è necessario espandere la nostra consapevolezza.

venerdì 22 aprile 2016

La liberazione dai contenuti mentali

Un conto è essere dominati dai pensieri e dagli stati d’animo e un altro conto è riconoscerli nel momento in cui sorgono.
Nel primo caso sono in azione meccanismi inconsci che producono stati psichici del tutto incontrollati. Ed essere dominati da tali processi inconsci non è certo la via della liberazione.
Nel secondo caso i prodotti mentali vengono portati alla luce e si dissolvono rapidamente. L’effetto è un po’ quello che si verifica quando, accendendo la luce in una stanza, le ombre spariscono.
In effetti, proprio di ombre si tratta – ombre che vengono proiettate dalla nostra stessa mente.
Il riconoscimento equivale ad una presa di coscienza in cui si riconosce che quegli stati non sono che immagini che transitano sullo schermo interiore. Niente di più.
Perché farsi influenzare da ombre e immagini di un film?
Noi siamo altri, noi siamo altrove. Siamo coloro che osservano l’intera rappresentazione senza farsene coinvolgere.

Una volta appurato che sono le nostre menti a proiettare questi spettacoli, possiamo finalmente trovare e identificarci con lo stato originale del nostro essere, quello che testimonia i vari movimenti.

giovedì 21 aprile 2016

Resistere alle tempeste

Oggi è una bella giornata. Non ho niente da fare, non ho malattie, non ho scadenze immediate, non ho impegni, non ho debiti… Mi siedo su una poltrona, guardo fuori dalla finestra e sono felice.
Ma devo stare attento alla mente e ai suoi pensieri. Perché, in ogni momento, posso trovare qualcosa che mi manca, qualcosa che desidero, qualche ansia, qualche paura, qualche ricordo tormentoso… o semplicemente il senso della mia inutilità.
E, allora, pur avendo la possibilità di star bene, posso incominciare a star male.
Così lavora la mente.
Da qui la necessità di immergermi nell’attimo presente e di far tacere i pensieri e le emozioni disturbanti. Da qui l’importanza di un addestramento a mantenermi calmo e tranquillo.
Se mi tormento oggi che non ho problemi impellenti, quanto soffrirò domani quando sarò investito da vere difficoltà?

La meditazione serve, tra l’altro, a produrre uno stato d’animo sereno che rimanga stabile anche quando sarò sballottato dalla tempesta.

Autobiografie

Tutti noi crediamo di sapere chi siamo. È un fatto istintivo, elementare. “Io sono questo!”
Ma ciò che crediamo di essere, la nostra preziosa identità, non è tanto diversa dal personaggio di un romanzo: è per lo più il prodotto dell’immaginazione.
Infatti, se provassimo a descrivere o a raccontare ciò che siamo, chi siamo, ci renderemmo conto che attraverso parole e concetti, viene fuori solo un’immagine – una delle tante – di noi stessi. Fra ciò che sentiamo di essere e ciò che verrebbe raccontato ci sarebbe comunque una grande differenza.
Anche la più accurata autobiografia non è che un romanzo, non è che una sfaccettatura di un insieme che viviamo ma che non riusciamo mai ad esprimere compiutamente.
Ciò che siamo lo sappiamo soltanto noi – in realtà nemmeno noi. È una nostra idea, una delle tante.

Qualcosa ci sfugge sempre. Ed è inevitabile che sia così, perché quell’identità è sempre una rappresentazione – non qualcosa di reale.

mercoledì 20 aprile 2016

La buona morte

La nostra civiltà sembra dedita all’ideale del vivere bene e pienamente. E fin qui niente di male. Ma, per realizzare questo ideale, le manca qualcosa di fondamentale: insegnare a morire bene.
L’arte di vivere bene, infatti, sembra basarsi su una negazione della parte finale dell’esistenza: non si vuol vedere che cosa succede, non si vuole affrontare il problema. Ma se si vuole vivere pienamente, come si può negare una parte essenziale della vita?
Tutti abbiamo bisogno di una buona morte per coronare una bella vita.

Chi combatte l’eutanasia, la “buona morte”, combatte alla radice la possibilità di una buona vita.

Materialità e spiritualità

Più crediamo nella realtà materiale delle cose, più le cose diventano dure, separate e frammentate, e non possono comunicare. Tante monadi isolate.
Ma siamo noi che le solidifichiamo: la nostra convinzione.
Più crediamo che le cose siano solide e separate, più le cose sono effettivamente così.
Viceversa, più crediamo che le cose siano tutte in relazione, fluide e mutevoli, più le cose diventano lievi e intrecciate.
Insomma, è la nostra convinzione di fondo che fa essere il mondo in un certo modo. Se ci sembra rigido e materiale, è perché noi siamo rigidi e materiali. Se lo riteniamo spirituale, diventerà spirituale.

Se crediamo di vivere in un mondo di apparenze, di sogni, di illusioni e di rappresentazioni, incominciamo a rimescolare le carte e a intaccare la solidità delle cose. Chi crede che la realtà sia scolpita nella pietra, non si rende conto che anche la pietra è fatta da forze evanescenti e cangianti.

Le religioni della falsità

Se si osserva, nella basilica romana, la cattedra di san Pietro, creata da Gian Lorenzo Bernini, la si vedrà sormontata da una raggiera di raggi luminosi. Viene considerata un capolavoro dell’arte barocca, ma è anche un capolavoro di finzione. A parte il fatto che il trono di san Pietro è in realtà un falso, anche gli elementi naturalistici sono un’imitazione. Infatti i raggi luminosi sono scolpiti, così come in altri casi sono dipinti.
Ma perché una religione deve imitare e fingere una realtà, quando sarebbe più semplice guardare i veri raggi che il sole o qualsiasi fonte luminosa emettono naturalmente? In Oriente, per esempio, si consiglia l’esercizio di guardare direttamente i raggi luminosi, non di scolpirli o di dipingerli. Basta socchiudere gli occhi mettendosi in una particolare angolazione e chiunque può vedere direttamente questi raggi luminosi. Ed è in ogni caso un esercizio di meditazione.
Non c’è bisogno di imitare e di fingere: una natura imitata non è più qualcosa di autentico ma una rappresentazione, infinitamente inferiore all’originale.
         In effetti, simili rappresentazioni sono tipiche di religioni che hanno perso il contatto non solo con la natura, ma anche con la realtà.
La gran quantità di opere d’arte prodotte dalla religione cattolica rivela lo sforzo di rappresentare artificialmente fenomeni spirituali e naturalistici che, per essere autentici, dovrebbe essere sperimentati direttamente. Si creano invece spettacolini religiosi, accontentandosi di rappresentazioni.


martedì 19 aprile 2016

Pellegrinaggi

Cercare presuppone che non si abbia ciò che si cerca, che ciò che si cerca sia in un altro posto. È così che nasce il desiderio: da questa convinzione.
Ma, se cerchiamo qualcosa che abbiamo già, non serve allontanarci dal posto in cui siamo. Anzi, dobbiamo stare fermi.
Il pellegrinaggio è una pratica di varie tradizioni religiose, occidentali e orientali. Ma, dopo aver tanto girato, dobbiamo renderci conto che ciò che cerchiamo lo abbiamo già dentro di noi, al centro del nostro essere.
A questo serviva il viaggiare – a fare questa scoperta.

Il luogo sacro, il centro di tutto, è proprio lì.

Cortocircuito

Sembra che ci sia una contraddizione fra l’essere completamente presenti in una data situazione e l’esserne consapevoli. Il primo caso sembra annullare ogni distanza, mentre il secondo sembra crearla: divide l’io.
Ma la contraddizione scompare quando si è completamente presenti nella nostra consapevolezza di essere.
Qui scompare la tipica divisione della coscienza che si fa in due. E si unifica tutto.

Questa è coscienza pura. Si crea come un cortocircuito tra chi osserva e chi è osservato. Ed è proprio da un simile cortocircuito che scocca la scintilla.

L'uno per l'altro

Potremmo definire la meditazione un insieme di tecniche mentali per influire sulla realtà. Naturalmente, la prima realtà è il nostro stesso organismo psicosomatico. Poi vengono gli altri e il mondo esterno.
D’altronde la mente e il mondo sono già in relazione tra loro, si influenzano a vicenda, sono fatti l’una per l’altro. Non solo il soggetto non può esistere senza l’oggetto, ma è vero anche il contrario: l’oggetto esiste in funzione del soggetto.

Però c’è qualcosa di più: come ci dice la fisica quantistica, il mondo presuppone un osservatore. Senza l’osservatore, il mondo non ci sarebbe. Esiste dunque un’interfaccia comune.

lunedì 18 aprile 2016

Senso e utilità

Ma perché le cose vanno e vengono, perché prima la vita e poi la morte? Perché Dio, dopo aver creato, distrugge la sua stessa opera?
Il fatto è che la logica divina è diversa dalla nostra: non c’è solo il creare, il significare, il crescere e l’essere. C’è anche il de-creare, il de-significare, il de-crescere e il non essere.
Se esistesse solo il primo movimento, la crescita e l’essere sarebbero illimitati. Ma, poiché il tutto è gratuito e viene dal vuoto, ecco il secondo movimento.
Le cose non sono in vista di uno scopo o di un significato, così com’è nella logica utilitaristica dell’uomo. Sono per sé e basta, gratuitamente.
Noi crediamo che tutto abbia uno scopo, un senso e una funzione. Ma è solo la nostra mente che lo crede.
Nell’antichità e nei popoli primitivi, si compivano rituali di pura distruzione, di spreco. Era un modo per ricordarsi che in origine le cose non hanno né uno scopo né un senso.
È la nostra mente che applica significati: è il nostro valore aggiunto. Ma la mente divina non ragiona così.
Se prendo un bastone e vi lego una pietra, costruisco un oggetto che ha uno scopo e una funzione: il martello o la clava.
Ma non devo dimenticare che in origine quel bastone e quella pietra non avevano un significato: siamo noi che glielo abbiamo attribuito.
In realtà i bastoni e le pietre non servivano a niente: servivano solo a se stessi.

E ora domandiamoci: il mondo e l’uomo a che cosa servono? Servono? O sono come tutte le cose: non sensi, al di là del senso umano?

L'osservazione del tempo

Se si nota, descriviamo due tipi di meditazione: quella che si concentra sull’istante e quella che si concentra sulla consapevolezza della successione degli istanti temporali. Si tratta comunque di trovare un punto fermo nel divenire.
Sappiamo che il tempo non si svolge in modo continuo, ma in modo discontinuo, come i fotogrammi di una pellicola. Per uscire in un certo senso dal tempo, ecco le due strategie: fissarsi sull’eterno presente dell’istante che non può mai essere né passato (sarebbe un ricordo nel presente) né futuro (sarebbe un’anticipazione mentale nel presente) e fissarsi sulla consapevolezza di ciò che muta.

In ogni caso, non possiamo negare l’effettivo scorrere di qualcosa. Il che ha un lato positivo: la possibilità di miglioramento e di evoluzione.

domenica 17 aprile 2016

Si recita a soggetto

Spesso ricorriamo alle metafore degli attori e del teatro. Diciamo che il mondo è una specie di palcoscenico e gli uomini sono personaggi che recitano una parte – recitano a soggetto.
Ma, senza quel soggetto, che ne sarebbe degli attori? E chi avrebbe scritto la loro parte?
Sembra che ci sia un attore da qualche parte, magari un deus ex machina.
Però questo autore non si trova, perché in realtà neppure il soggetto è scritto: c’è solo un abbozzo.

Così il problema dell’attore è simile al problema del meditante: trovare l’autore che è in sé. 

Corpo e mente

Di solito pensiamo al corpo come ad un prodotto della natura, in cui, ad un certo punto, emergono una mente e una coscienza.
Ma forse è esattamente il contrario: il corpo è un prodotto di precedenti eventi mentali, di fenomeni sperimentati da una mente e poi cristallizzatisi in una forma.
Il mondo, insomma, è la proiezione di forze psichiche. È come un insieme di convinzioni che si solidificano.

Il corpo non è una gabbia della mente: è la mente che si è ingabbiata da sola e, ingabbiandosi, ha dato origine a ciò che vediamo.

Matrix

A sentir parlare di vuoto, la gente si smarrisce: non sa più a che cosa aggrapparsi.
Ma riflettiamo un po’: se non ci fosse il vuoto, come potrebbero essere accolte, abbracciate e unite le cose?
Lao-tzu diceva: tutti apprezzano la forma di un bel vaso. Ma, senza il vuoto dentro, che cosa ne sarebbe del vaso?
Lo stesso vale per il cosmo intero – anche per Dio.

Tutto esce e rientra nel vuoto. Il vuoto è il fondamento ultimo di tutto. Ed, essendo una matrice, è fecondo.

Il Dio alienato

Solo se noi stessi siamo Dio – un Dio alienato, un Dio da farsi – abbiamo una speranza di salvezza. Se dobbiamo implorare un Moloch esterno ed estraneo, siamo perduti - siamo schiavi.

sabato 16 aprile 2016

Il Dio della meditazione

In meditazione, il problema non è credere, ma percepire, esperire, fare esperienza.
Il che significa farsi una sensibilità più acuta e una visione più profonda.
Bisogna sentire la vasta presenza vuota che sta al centro dell’essere.
Non è Dio - il Dio della mente, delle parole, dei concetti e delle teologie.

È ciò che lo precede.

La speranza ultraterrena

In realtà ci si attacca alle speranze religiose nell’aldilà soprattutto perché si sono perse le speranze nell’aldiqua – le speranze di cambiare il mondo e di trovarvi un posto decente.

La colpa di tanto ateismo e di tanto fanatismo religioso è di chi ha ucciso la speranza in questo mondo.

Liberarsi di ogni idea di Dio

Nessuno sa che cosa sia Dio, quindi nessuno sa che cosa sia la fede in Dio.
Può darsi che chi dice di non credere in Dio sia più vicino alla fede di chi dice aver fede. Può darsi che chi crede che all’inizio ci sia un grande Vuoto sia più vicino a Dio di chi crede che Dio sia una Persona.
Può darsi che chi dice di non poter conoscere Dio sia più vicino alla Verità di chi è convinto di agire in nome di Dio – di un Dio della sua immaginazione.

Non era Meister Eckhart, il grande mistico cristiano, che invitava a “pregare Dio di diventare liberi da Dio?”

venerdì 15 aprile 2016

Cambiare il mondo

Il primo passo è vedere il mondo non come qualcosa di esterno e di estraneo a noi, ma come la proiezione di un’energia che sta al nostro centro, al centro del nostro essere – e che è alienata.
Il secondo passo è arrivare a modificare ciò che sperimentiamo come mondo esterno. Il che rappresenta sia una dimostrazione del primo assunto, sia lo sviluppo di capacità che potrebbero essere definite supersensoriali.
Se infatti siamo noi stessi i creatori del nostro mondo, dovremmo anche essere in grado di cambiarlo.
Questa è la parte più difficile, perché per modificare le cose dobbiamo prima cambiare noi stessi e acquisire tecniche che sono gelosamente conservate.
In parte ci riusciamo già attraverso la scienza e la tecnica, ma dovremmo anche mettere a punto tecniche mentali che siano in grado di incidere direttamente sulla realtà.

In fondo il mondo è il prodotto di un Mente superiore – e questa mente è dentro di noi, benché oscurata.

giovedì 14 aprile 2016

La consapevolezza della chiara visione

Ne Il libro tibetano dei sei lumi (a cura di Giuseppe Baroetto, Ubaldini Editore, 2002), un testo risalente all’8° secolo, vengono indicate alcune tecniche che in realtà appartengono a varie tradizioni contemplative.
Lo scopo è ritrovare lo stato primordiale della consapevolezza, quella coscienza iniziale che si palesa quando si fanno tacere i vari pensieri ed emerge uno stato spazioso in cui si riconosce la base universale di tutto.
Mettendosi nella postura seduta con la schiena dritta si dirigono gli occhi verso l’alto, verso la zona fra la sopracciglia. Mantenendo lo sguardo fisso, e ripetendo l’esercizio più volte, si fermano i pensieri e si accede ad una più chiara visione.
La seconda tecnica consiste nel guardare i raggi del sole, senza fissare però mai il sole stesso (cosa che sarebbe pericolosa per la vista). Si socchiudono gli occhi, si lasciano filtrare i raggi solari senza muovere gli occhi e si vedono apparire immagini simili a tele di ragno o a catenelle piene di cerchi o di perle luminose. Si può anche eseguire l'esercizio davanti ad una lampada elettrica.
La terza tecnica prevede la meditazione in un posto buio o di notte. Si tratta di appoggiare le mani sugli occhi chiusi e di premere delicatamente, trattenendo il respiro, fino a far emergere vere e proprie luci psichiche, che possono diventare oggetti su cui concentrare l’attenzione. Oppure si può guardare lo spazio vuoto del cielo, dando le spalle al sole, la mattina o al tramonto, senza muovere gli occhi.
La visione di queste luci sta a indicare e a rappresentare la chiarezza o la luminosità di fondo, quella da cui ha avuto origine ogni cosa.
La quarta tecnica si rivolge ai suoni: bisogna tener chiuse con le dita le orecchie, gli occhi e le narici, in modo da udire il suono fondamentale dell’universo, quello che altre tradizioni chiamano OM o AUM.
Questi metodi sono utili per capire che la realtà è un specie di film cosmico che viene proiettato dalla nostra stessa mente. È questa comprensione che alla fine ci permetterà di liberarci dalle illusioni, la prima delle quali è che il mondo abbia una natura “oggettiva” e che il nostro stesso sé sia qualcosa di separato dal tutto.


mercoledì 13 aprile 2016

La consistenza dell'io

Noi pensiamo di essere io separati, individui. Eppure nasciamo tutti da altri esseri. Sarebbe quindi più giusto dire che esistono io collettivi.
Pensiamo inoltre di avere un io concreto, sostanziale, qualcosa di indubitabile che ha una sua consistenza, anche se non materiale. Eppure è possibile che ci sia un unico io che appare in forme diverse. Come?
Prendiamo per esempio la luna che si riflette di notte in tante pozzanghere. La luna è sempre la stessa, ma i suoi riflessi sono innumerevoli.
Dunque, quando pensiamo, percepiamo o sentiamo, realizziamo che attraverso di noi pensano, percepiscono o sentono altri esseri, gruppi di esseri, collettivi di esseri.

Il nostro “io” è come una finestra comune attraverso cui vivono parecchi altri.

L'addestramento mentale

Se abbiamo forti preoccupazioni, è chiaro che non riusciamo a meditare: i nostri pensieri e i nostri stati d’animo sono tutti concentrati su un unico punto.
Ma, proprio in questi momenti, ci rendiamo conto dell’importanza di avere una mente sgombra, una mente libera da pensieri e da stati d’animo negativi.
Ecco perché è necessario addestrarsi prima, quando siamo abbastanza tranquilli e sereni.
Addestrarsi significa imparare a ritrovare lo stato di chiarezza, di luminosità e di assenza di ansie che è poi lo stato primario della mente. In tal modo ci sarà più facile, quando si presenteranno i problemi, liberare la mente dalle inquietudini e dai pensieri negativi o inutili.

Inoltre, l’addestramento preventivo e costante ci permetterà di ridurre l’impatto degli eventi negativi e, al limite, di ridurre – attraverso complessi rapporti di causa ed effetto - gli stessi eventi negativi.

martedì 12 aprile 2016

La tecnica di base

Se la mente si frammenta e si inquina producendo pensieri incontrollati, il modo per ritrovarla sua lucidità originale, la sua lucentezza, la sua unità, la sua consapevolezza basilare, è smettere per un po’ di farla lavorare lasciando che si riposi in se stessa.
È come il fascio di luce di un proiettore cinematografico che si frammenta per proiettare tante immagini. Se vogliamo vedere il suo stato originale, non dobbiamo più guardare le immagini, ma la luce stessa alla sua fonte.
In altri termini, non dobbiamo concentrarci sui pensieri, ma sulla mente stessa, sulla sua stessa luminosità.
Al di là delle varie tradizioni contemplative, questa è la tecnica fondamentale.
Per esempio, quando ci alziamo la mattina e la mente è ancora riposata, mettiamoci di fronte ad una finestra ed esaminiamo la nostra stessa consapevolezza luminosa, non inquinata da pensieri.


La malattia della religione

Esaminando le religioni distaccatamente, da un punto di vista più elevato del solito (come quello che potrebbero avere degli osservatori extraterrestri che sorvolassero per la prima volta la Terra), le religioni – con il loro fanatismo e il loro radicalismo, con la loro pretesa di avere il monopolio della verità, con il loro impulso a dominare-convertire il mondo intero e ad annientare le altre fedi, con la loro violenta irrazionalità – si presentano come vere e proprie malattie della mente umana all’attuale stadio di sviluppo.

Non si può curare questa malattia se non si rilassa la mente, se non si fa il vuoto di tutti i concetti, se non si esercita un’auto-consapevolezza  distaccata. Non si tratta di un compito facile, perché sono i malati stessi che, nel bel mezzo del loro delirio, devono trovare un barlume di lucidità.

lunedì 11 aprile 2016

Attori e autori

Ognuno di noi crede di essere l’artefice della propria vita. Ma, all’inizio, la vita è come un film che si svolge per varie condizioni. E, all’interno di questo film, tra i vari personaggi, c’è il nostro io che si crede padrone della propria vita e autore delle proprie decisioni e azioni.
Solo abbandonando questa illusione e osservandoci vivere, ci si può render conto di essere soltanto degli attori che recitano un copione già scritto.
Per diventare veri autori, dobbiamo innanzitutto vederci recitare. Poi dobbiamo chiederci: “Chi sono veramente io? Chi è che crede di decidere? Chi è che crede di essere un io? Quali sono i suoi schemi reattivi?”
I pensieri e le emozioni avvengono: non siamo noi a deciderle. E avvengono in base ad eventi che non siamo noi a determinare. Il resto lo fanno gli schemi reattivi.
Noi dobbiamo osservare l’intero meccanismo. E, infine, spostarci nello spazio di “ciò che è consapevole”. Solo così vediamo con chiarezza ed usciamo dalla confusione e dalla reattività meccanica.
In questo nuovo spazio, scopriamo un sé che è più vasto dell’io, uno spazio in cui si intrecciano i vari destini.
È da lì che dobbiamo prendere le mosse per re-impossessarci della nostra vita.


Perché meditare

Perché meditare?
Avere una mente limpida, vedere le cose con chiarezza, non agire in base a schemi automatici, trovare la quiete interiore, stimolare la propria mente creativa… queste qualità non sono utili solo in campo meditativo, ma anche nelle attività di tutti i giorni.

Ecco perché la meditazione è conciliabile con qualsiasi lavoro o stato sociale.

Il maestro e il discepolo

Tra le cause delle difficoltà umane a progredire c’è il tipo di rapporto che abbiamo instaurato tra chi insegna e chi apprende – un tipo di rapporto che, tra l’altro, si estende all’intera struttura educativa.
Da una parte c’è il maestro che ha le conoscenze e dall’altra c’è il discepolo che non ha nulla.
Se questo tipo di rapporto ha una sua ragione d’essere nella scuola, non ce l’ha più in campo spirituale, dove la conoscenza non può essere travasata sic et simpliciter.
In tal modo si deresponsabilizza il discepolo, che rimane passivo e non fa ricorso alle sue doti interne. È come se la luce dovesse scendere dall’alto e investirlo, mentre la luce da sviluppare è quella interiore.
In tal modo si blocca ogni processo di risveglio.
Ci accontentiamo di formule e di definizioni. Ci mettiamo una tonaca e diventiamo preti. Raggiungiamo una laurea e ci definiamo “dottori”. Veniamo eletti al parlamento e ci danno il titolo di “onorevoli”. Insegniamo una dottrina o una filosofia e ci chiamano “maestri”.
Ma a noi interessa ciò che sta sotto le vesti e i titoli: l’uomo essenziale.
Come dice lo zen, dobbiamo cercare e stimolare l’uomo senza titoli, senza qualifiche, senza maschere: l’uomo nudo.
È questo uomo nudo che ha in sé le doti di illuminarsi, e nessun maestro può sostituirsi a lui.

Ogni allievo ha il maestro in sé: è questo che dobbiamo capire. E prostrarsi al piede di qualche maestro può bloccare l’intero processo evolutivo.

domenica 10 aprile 2016

La consapevolezza che guarisce

Nella vita, tutti riceviamo botte di ogni genere. Siamo come la luna che è continuamente bersagliata da meteoriti. E non possiamo farci nulla. Anzi, siamo dominati dalla paura di ricevere la botta definitiva.
Ciò che però distingue l’uomo è la sua capacità di assorbire i colpi, riprendendosi ogni volta:

“La vita è cadere e risorgere,
cadere e risorgere,
cadere e risorgere,
fino all’ultima caduta
nella polvere.”

Ognuno ha una propria capacità di resistenza, che è un po’ come l’atmosfera della Terra che ci protegge dalla pioggia dei meteoriti.
L’atmosfera riceve i meteoriti, ma riesce ad assorbirne, a distruggerne o ad attutirne la maggior parte.
Questa atmosfera protettiva è ciò che la meditazione ci permette di costruire.
Non dobbiamo sognare di essere esenti dai colpi o di avere una corazza impenetrabile. Non esiste una protezione del genere. Il problema è di essere flessibili abbastanza da ricevere la botta, piegandosi ma non spezzandosi, così come fa il giunco sotto la tempesta.
Si tratta di un vero e proprio addestramento, come quello del pugilato o delle arti marziali, dove non si può pensare di non ricevere colpi, ma ci si fortifica per sopportarli.
Nel nostro caso è un addestramento emotivo, in quanto i colpi ricevuti arrivano sotto forma di reazioni emotive.
La regola è che le reazioni si emotive si dissolvono non appena ne siamo consapevoli. Dobbiamo quindi rivolgere l’attenzione a queste sensazioni.
Talvolta il colpo è così forte che non basta esserne consapevoli una sola volta, ma occorre ripetere l’operazione più volte, centinaia o migliaia di volte. Come si elabora il lutto (un dolore, una forte botta), così si elabora ogni reazione emotiva.
Dobbiamo sperimentarla in noi con chiarezza e poi tenerla a lungo nel campo dell’attenzione. Non averne paura, non cercare di sfuggirla, ma riportandola sempre di nuovo alla nostra consapevolezza. A poco a poco, la sua intensità si attenuerà fino sparire.
A scopo preventivo, è utile imparare a vedere ogni reazione del genere come una semplice sensazione. Può distruggerci una sensazione?


Metafore

Parlando di spirito e di meditazione, il nostro linguaggio non può che essere metaforico. Infatti, la metafora, come indica la sua etimologia, è qualcosa che “porta fuori.”
Fuori da che cosa?

Dalla pesantezza del linguaggio stesso, che per la sua natura dualistica e divisiva può parlare soltanto di un mondo che sia grossolano.

sabato 9 aprile 2016

La funzione della meditazione

All’inizio, hai l’idea di dover praticare per essere felice, per migliorare la tua vita, per risolvere i tuoi problemi o per mille altri motivi.

Poi, capisci che non devi praticare per ottenere questo o quel risultato, ma che devi utilizzare la tua vita per praticare, perché, praticando, hai già ottenuto il risultato – sei già nello stato spirituale.

Zensho

Zensho significa in giapponese “vivere completamente.” Cioè, vivere senza remore, senza separazioni, senza elucubrazioni mentali, senza pensieri distraenti, senza mezze misure.
Come fare?
Per esempio, mentre si fa l’amore (ecco l’importanza spirituale del sesso).
Oppure, quando stai vivendo (o credi di vivere) gli ultimi istanti della tua vita.

Meglio ancora, quando ti rendi conto che questo istante è unico, irripetibile e che non tornerà mai più.

I koan della vita

Quando pensiamo o scriviamo su ciò che vorremmo ottenere con la meditazione, in realtà costruiamo un koan: un enigma senza apparente soluzione razionale.
Il motivo è che le parole e i pensieri (con il loro dualismo) non sono in grado di darci la risposta.
La risposta ci viene saltando dal livello concettuale al livello esperienziale.
“Nel cosmo, non un singolo giorno; soltanto una persona in cielo e in terra.”
Non è difficile risolvere mentalmente questo koan: vuol dire che nel cosmo tutto è uno e il tempo è un’illusione. Ma il problema è che non dobbiamo pensare la soluzione, ma sentirla con tutte e nostre forze. Solo allora diventa una verità inoppugnabile, un’illuminazione.
Analogamente, risolviamo l’altro koan: “In questo istante, dov’è lo spirito dell’uomo superiore?”

Se lo percepiamo, lo abbiamo trovato.

Il desiderio sessuale

Un antico leit motiv dell’ascetismo di tutte le religioni e di tutti i tempi è la repressione del desiderio sessuale, considerato o peccaminoso o troppo materiale.
Ma il desiderio sessuale è la radice della vita; se recidiamo l’uno recidiamo l’altra, e si rimane come “un albero secco tra rocce gelate.”
Sarebbe questo il risultato della spiritualità?
Non pare proprio.
In realtà la meta è essere più vitali, non meno.
Quello che dobbiamo fare non è reprimere, non è soffocare, non è perdere vitalità; ma comprendere.
Se comprendiamo il desiderio sessuale nella sua funzione e nella sua potenza, comprenderemo la vita. E, se comprenderemo la vita, supereremo il desiderio sessuale.
In ogni caso, la vita porta naturalmente al superamento del desiderio sessuale: basta aspettare. Ma è chiaro che la fine del desiderio sessuale significa la fine più o meno prossima della vita.

Anche questo va compreso.

venerdì 8 aprile 2016

"Onora il padre..."

Il figlio di Totò Riina, l’ex padrino della mafia siciliana che ha seminato di morti e di stragi la sua vita e la nostra storia recente, ha dato in una intervista televisiva un triste spettacolo di sé.
Ha dimostrato di essere legato affettivamente al padre (e fin qui è comprensibile), ma anche aggiunto che non spetta a lui giudicarlo. Il giudizio sui suoi delitti spetta ai magistrati, non a lui. E ha citato a tal proposito il comandamento biblico: “Onora il padre e la madre”.
Ma chi l’ha detto che onorare il padre significhi non giudicarlo? Questa è ignavia, non rispetto filiale.
Tutti dobbiamo giudicare i nostri genitori. Non esistono Moloch intoccabili.
Onorare il padre non significa chiudere gli occhi e non voler vedere che cosa ha fatto.
Se vogliamo crescere, dobbiamo giudicare tutti i padri, compreso il Padre eterno.

Non confondiamo il padre con il padrino.