Più ci
domandiamo: “Chi sono io?”, più vorremmo trovare una risposta rigida e fissa. “Ecco,
questo sono io e sono fatto così e
così…”. Ma ogni risposta del genere lascerà fuori qualcosa e sarà
insoddisfacente.
Il fatto è
che io sono un flusso che non può essere irrigidito e bloccato. Se lo faccio,
rimane solo uno scheletro, qualcosa di definito ma morto. Sarebbe dunque meglio
cercare di rilassarci e seguire il flusso. Forse non avremmo una definizione,
ma avremmo qualcosa di vivo e vitale.
Noi abbiamo
il potere di dare un nome alle cose e a noi stessi. Ma, in tal modo, isoliamo e
separiamo qualcosa che è unitario, mobile e cangiante.
Naturalmente
questa operazione di definizione ci è utile per comunicare tra di noi. Ma non
dovremmo mai dimenticare che si tratta di un’astrazione, di una convenzione. Se
finiamo per crederci isolati e indipendenti, rischiamo di diventare estranei a
noi stessi.
Dovremmo essere
tanto saggi da recuperare ogni volta l’unità del tutto, ritornando a giocare
nel flusso della vita.
Se togliamo
un pesce dall’acqua per esaminarlo, potremo studiarlo e definirlo. Ma sarà un
pesce morto, ben diverso dalla creatura viva che conoscevamo prima.
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