Abbiamo tanti
modi per indicare le vie e i tipi di meditazione: possiamo parlare di samatha (quiete),
di vipassana (visione profonda), di shikantaza (stare seduti), di zen, di anapanasati
(seguire il respiro), di dzoghchen (una scuola del buddhismo tibetano), di bhavana
(sviluppo della mente), di dhyana, di yoga della mente, di presenza mentale, di
sati e di altre ancora. Ma che cosa hanno in comune questi metodi?
Tutti hanno
in comune lo sviluppo della consapevolezza, dando per scontato che la qualità
della nostra vita concreta e la qualità della nostra vita spirituale dipendano
dal livello della nostra consapevolezza. Ora, questo livello si può sviluppare
attraverso varie pratiche.
Per
esempio, se me ne sto in silenzio e fermo, la mia sensibilità aumenta e posso
capire e ascoltare più cose, sia del
mondo sia di me stesso.
Per
spiegare questo processo, si può usare la metafora dell’ascolto oppure quella
della visione: in meditazione si possono vedere più cose.
Questo è il
primo scopo della meditazione: recepire, ascoltare, accogliere, vedere o capire
tante cose che, nella confusione e nel chiasso abituali, finiamo per trascurare.
Il mondo sociale è pieno di rumori e di disturbi di ogni genere, e sembra avere
come scopo più l’ottundimento che la chiarezza.
Nella
nostra lingua, la parola meditazione indica la riflessione, ma la meditazione orientale
invita prima di tutto all’attenzione. E l’attenzione, nel momento in cui
avviene, mette a tacere ogni altro interesse, ogni distrazione, ogni pensiero.
Se sulla mia strada compare una bellissima donna, in quel momento non penso ad
altro e sono concentrato solo su quella visione.
In quella
intensa concentrazione, vedo particolari che, nella mia distrazione abituale,
mi sfuggirebbero. Inoltre, in quel momento, mi dimentico di ogni altro
pensiero. E sono gioioso.
L’esempio
ci dice che questa forma di piacevole concentrazione comporta una
focalizzazione, una unificazione e un livello di attenzione che sono più
elevati del normale. Dunque è possibile sviluppare la consapevolezza delle cose
e di noi stessi.
Certi fenomeni
su cui si fantastica - il samadhi, l’illuminazione, il nirvana, il satori o il
kensho – sono in realtà lo sviluppo di esperienze che già avvengono a livello
naturale. Le vie sono tante, ma la meta è unica.
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