mercoledì 8 gennaio 2020

Scendere nel profondo


Se cerchiamo la felicità nelle cose di questo mondo, forse per un po' la troveremo. Ma, ben presto, la perderemo, perché nella natura delle cose c'è il cambiamento incessante: nessuno stato d'animo può durare a lungo.
       Se vogliamo quindi una felicità più duratura, dobbiamo rivolgerci a qualcosa che sia sempre in nostro possesso, dentro di noi.
       Con la meditazione cerchiamo di scendere sempre più in fondo per raggiungere quello stato di consapevolezza che è sostanziato di benessere. Dobbiamo scendere oltre gli strati superficiali della mente, oltre i pensieri e le sensazioni abituali, oltre la coscienza condizionata, per arrivare ad una consapevolezza pura che non ha né soggetto né oggetto.
       Non ha soggetto perché non è un prodotto della mente razionale, della volontà, dell'io o di qualsiasi operazione mentale. Infatti, consiste nel lasciar andare tutti gli stati mentali. Ed essendo pura testimonianza, non può essere neppure un oggetto.
       Scendendo in profondità,  arriviamo al punto in cui restiamo consapevoli dell'essere consapevoli, e questo ci dona gioia. Ci ritiriamo per così dire nello stato primario della mente, la pura consapevolezza o testimonianza di sé.
       Non è neppure necessario cercarla, perché chi la cerca è la consapevolezza stessa, che riconquista il suo spazio naturale.
       Questa discesa è accompagnata da modificazioni fisiologiche, come il rallentamento del battito cardiaco, l'abbassamento della pressione sanguigna e la diminuzione del tasso metabolico. Negli antichi testi delle Upanishad si parla di "quarto stato", al di là dei tre stati di veglia, di sogno e di sonno senza sogni. Tale condizione è una forma di riposo e di rilassamento profondo. Ed è accompagnata da una grande chiarezza mentale.
       Vi si può arrivare attraverso varie vie: seguire il respiro, fissare lo sguardo, ripetere un mantra (prodotto da noi o anche registrato) o semplicemente ripiegandosi su di sé per "guardare sempre più in fondo", verso strati sempre più "sottili". Basta sedersi in modo comodo e rilassato e stare a lungo fermi, seguendo qualche immagine piacevole, qualche suono o niente del tutto. A poco a poco, la mente rallenterà la sua attività, producendo i fenomeni fisiologici di cui parlavamo. Se ci addormenteremo per qualche minuto, niente di male; al risveglio saremo più calmi e lucidi, due condizioni che favoriscono la meditazione.
       Se a questo punto rallenteremo o sospenderemo la respirazione, schiacceremo la lingua contro la volta del palato, chiuderemo gli occhi e ci concentreremo su un punto davanti a noi verso la punta del naso (magari in un punto luminoso centrale ( chiamato "bindu"), potremo trovare quello stato d'animo che è fatto di calma, di chiarezza e di consapevolezza.
       Quando torneremo alle attività abituali, saremo più riposati, lucidi ed efficienti.
       Questa immersione quotidiana nella nostra interiorità più profonda è come un bagno ristoratore e ci dà un'idea di che cosa sia lo stato ultimo (o primo) della consapevolezza pura - l'origine di tutto. Usciamo dalle beghe, dai rumori e dalle miserie della vita ed entriamo nel regno del silenzio, della pace e della gioia.

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