Da quando nasce a quando muore l'uomo pensa di essere un io. Io
sono Tizio, io sono Caio, io sono Sempronio, ecc. O, per meglio dire, quando
nasce, il neonato non sa ancora di essere un io e non si pone nemmeno il
problema. Ma i suoi genitori stanno ben attenti: immediatamente lo battezzano,
cioè gli danno un nome. Poi gli insegnano a parlare - e la prima cosa che gli
insegnano è di essere un io: tu sei Mario, tu sei Francesco...
Le nostre lingue ci
dicono che ogni frase deve incominciare con il soggetto o con il pronome
"io", "tu", "lui", ecc. E questo si insegna nelle
famiglie e nelle scuole. Si racconta al bambino la sua storia e gli si dice chi
è, di chi è figlio, a quale tradizione, a quale cultura, a quale religione, a
quale storia e a quale nazione appartiene. Infine gli si assegna una carta
d'identità. Così l'individuo sa chi è e, da quel momento, dice anche
"questo è mio", questo è "tuo", ecc.
Insomma dal senso dell'io
nasce il senso del mio - si tratta pur sempre di proprietà: questo sono
"io" e questo è "mio". Per la legge, non è concepibile che
non esista un io, un'identità. Oltre ai documenti si assegna anche un codice
fiscale e mille altri documenti del genere che ci diranno chi siamo e che cosa
è nostro.
Per il mondo non è
ammissibile che uno non sappia di essere un io; se non lo sa, viene messo in un
manicomio. È certamente un alienato, un anormale. Ma non basta. Se qualcuno
entra nella vita religiosa, subito gli viene assegnato un altro nome. Un monaco
o un Papa devono cambiare nome. Cambiano nome per segnalare che hanno cambiato
identità. Hanno cambiato identità, però non hanno perso l'identità: sanno
benissimo chi sono. Non c'è nessuna religione che ti tolga l'identità, che ti
dica che non sei un io.
Il senso dell'io e del
mio è il fondamento del nostro essere nel mondo. Non ci basta essere, dobbiamo
essere un io, dobbiamo essere delimitati, confinati in un io - e in un io
definito, definibile, in modo inequivocabile. Se entrate in Rete dovete avere
un'identità e, quando entrate in un sito, vi viene chiesto di identificarvi o
comunque venite identificati in modo sicuro, magari scegliendo nickname e
password.
Il nome è
fondamentale. L' "io sono" è fondamentale. Il Dio della Bibbia, non
appena apre bocca, dice. "Io sono". Io sono colui che è, il mio nome
è Javeh o qualche altro nome.
La nostra paura
atavica è di non essere un io, di non essere riconosciuti o amati. Se non
veniamo riconosciuti da qualcuno, se non veniamo amati dai genitori, ne
portiamo una ferita per tutta la vita.
Ma ogni momento è scandito
dalla paura di non essere, che per la società diventa paura di non essere
qualcuno. “Lei non sa chi sono io… lei non sa che io sono.” All'identità
personale viene aggiunta l'identità sociale, quella del ruolo rivestito nella
vita. E ogni momento è contrassegnato dalla paura di non essere più un io, di
morire. Che cos'è infatti la morte se non lo stato in cui non si è più un io e
neppure si è? Questo è il massimo degli orrori, insopportabile per l'ego.
Nell'esistenza ogni
ferita all'ego provoca un'immediata reazione. Che cos'è un'offesa, un'ingiuria
se non un'aggressione al tuo ego? Tu ti credi intelligente ma ti dicono che sei
un deficiente. Tu ti credi una persona importante, ma ti dicono che non conti
niente. Ecco, non essere qualcuno è la massima offesa.
Il confinamento
dell'essere in un io è come la nascita di un pianeta, con tutti i suoi
satelliti. Da una nebulosa a poco a poco si condensa qualcosa e quel qualcosa
assume una fisionomia "solida", concreta, ben definita.
Eppure, eppure...
qualche uomo straordinario dice anche che l'ego, con tutto l'egoismo che
inevitabilmente comporta, è il problema di fondo, anzi è il male di fondo.
Gesù, per esempio, sostiene che per farsi suoi seguaci, bisogna rinunciare a
ogni cosa, anche a se stessi; e tutta
la sua predicazione si rivolge a combattere l'egoismo, l'egocentrismo. Quando
parla di amore indica proprio questo: la perdita del proprio ego. Io e gli
altri siamo la stessa cosa. D'altronde, quando ami o quando fai l'amore, per un
po' perdi proprio il tuo confinamento in un ego e ti apri ad un altro. E non ti
trovi male. Ma poi ti limiti ad assimilare anche quest'altro nel tuo io: e il
tuo amore diventa "tuo", una parte di te.
Il buddhismo, che è la
religione più radicale e più profonda di tutte, aggiunge qualcosa di unico.
Mentre le altre spiritualità ti assicurano che il tuo fondamento è un "ego
trascendentale", un ego divinizzato, un’anima, il divino confinato in te,
il Buddha sostiene che non esiste nessuna anima, anzi che l'illusione prima
dell'uomo è proprio quella di essere un ego eterno, un io che sopravvive alla
morte.
Mentre tutti cercano di
assicurarsi un buon posto nell'aldilà, un'anima imperitura, magari di fianco al
Padre eterno, e accumulano beni (immateriali) come le buone azioni, le
preghiere, le confessioni, le penitenze, ecc, l'illuminato buddhista ti dice
che devi liberarti prima di tutto di questo desiderio, di questa illusione, di
questa presunzione. La suprema beatitudine non è essere eterni ma dismettere la
pretesa di essere; la vera felicità è la cessazione di sé. Tre sono le
presunzioni da cui devi liberarti: "Io sono migliore di qualcuno",
"io sono peggiore di qualcuno" e "io sono uguale a
qualcuno". E infine devi liberarti del tuo stesso ego, devi giungere alla
tua stessa estinzione: ecco che cos'è il nirvana. Questa sì che una vera dieta
dell'anima, una vera umiltà! Ma non finisce qui: l'illuminato deve arrivare a
considerare se stesso, il proprio io, come un processo impersonale.
Agire impersonalmente.
Chi ci riesce? Forse nessuno. Ma il merito di questa linea di pensiero è di
mettere in dubbio tutte le nostre certezza acquisite, il nostro egocentrismo,
le nostre paure, i nostri successi.
Forse sbagliamo tutto.
Forse un successo dell'ego è una sconfitta spirituale; è un passo indietro
anziché un passo avanti nel nostro processo evolutivo. Forse siamo tutti
vittime della nostra convinzione egoica. Forse è davvero meglio imparare ad essere
un po' meno ego-centrati, cosa di cui si occupa la meditazione.
Chi sono io? Quando
incomincerai a pensare che non essere nessuno non è un dramma e che è meglio
liberarsi di ogni io posticcio, ti aprirai al tutto.
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