Siamo
abituati a pensare che per ottenere qualcosa ci si debba sforzare, ci si debba
tendere, ci si debba concentrare. E così anche nella meditazione. Ma se la
meditazione è una liberazione, un lasciar andare, un sollievo, una distensione,
ci troviamo di fronte a un paradosso.
Più ci sforziamo, più ci tendiamo, più ci concentriamo - più ci sfugge
l'obiettivo della pratica.
Se però non facciamo nulla, non
otterremo nulla. Dobbiamo quindi alternare i
due momenti: la concentrazione con impegno e il rilassamento. Anzi, la tensione
della concentrazione aiuta poi la distensione. E viceversa.
Siamo costretti ad agire così
perché la natura della realtà è dialettica. Un polo fonda il suo opposto.
Dopo esserci tesi e concentrati,
possiamo distenderci meglio. E più ci distendiamo, più usciamo dallo
stress-sofferenza-dukkha. È così che ci si libera.
Se invece ci sforziamo soltanto o
ci rilassiamo soltanto, ci allontaniamo dalla meta, proprio come inseguire la
propria ombra.
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