Nella nostra
civiltà, si punta sempre alla ricerca della felicità, come se fosse un
obiettivo a portata di mano che ci sfugge per qualche piccola mancanza. E si
scrivono libri e trattati per indicare
una via sicura. Addirittura nella costituzione americana si dà per scontato che
ogni individuo abbia il diritto alla felicità.
Ma, non appena
cerchiamo la felicità, ci imbattiamo nell’infelicità nelle sue varie espressioni:
malessere, stress, angoscia, disagio, disadattamento, ansia, alienazione, ecc.
E ci sembra che siano imperfezioni destinate ad essere eliminate definitivamente
dalla nostra esistenza. Come mai non ci riusciamo? Ci sentiamo allora sempre
più frustrati o sfortunati.
Pur cercando di
nascondere o di dimenticare tutte queste sofferenze, loro non se ne vanno e
continuano a riemergere.
Il fatto è che
non si tratta di accidenti della nostra vita, ma di presenze ineliminabili – l’altro
volto della felicità. In altre parole, felicità e infelicità stanno fra loro in
un rapporto dialettico, e nessuna delle due può essere eliminata. Anzi, più
cerchiamo di rimuovere l’infelicità, più essa diventa permanente.
Se poi
addirittura preghiamo qualche divinità suprema perché ci doni la felicità,
siamo sulla strada più sbagliata.
Dobbiamo allora
cambiare tipo di approccio e capire che l’una è legata all’altra. Anziché
cercare di nascondere o di rimuovere le parti spiacevoli, dobbiamo prendere
coscienza che ci sono e osservarle bene da vicino. Non si tratta di masochismo,
ma di una saggia attenzione. Dobbiamo prenderne coscienza e affrontarle. Non
per drammatizzare, ma per non farcene travolgere. Non per suicidarci, ma per
essere saggi.
La saggezza
consiste in una visione equilibrata di come funzioni il mondo e la nostra
psiche. La via è l’autoconoscenza, l’autoindagine, l’autosservazione.
Perché una cosa
è certa. Se non vogliamo diventare essere consapevoli della nostra infelicità,
se nascondiamo la spazzatura sotto il tappeto, quella prima o poi salterà
fuori, più velenosa di prima. E distruggerà le nostre speranze di felicità.
Dobbiamo
innanzitutto essere consapevoli che felicità e infelicità sono intrecciate e
indivisibili, come le sue facce di una stessa medaglia.
Dunque, la
strategia giusta non è rimuovere, nascondere, far finta di nulla, ma illuminare
le parti oscure con l’occhio della saggezza.
L’idea che la
felicità sia raggiungibile senza pagare pegni, senza incontrare il suo
contrario, è un’illusione. E il modo migliore per ottenere una felicità matura
è diventare consapevoli delle infelicità che ci tormentano, osservandole
proprio mentre si manifestano. Dall’osservazione viene o la conoscenza della
causa o comunque un principio di distacco. E il distacco è una prima forma di
cura.
Non ci
dimentichiamo che i verbi “medicare” e “meditare” hanno la stessa radice
etimologica.
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