Se
siamo ammalati, abbiamo l'occasione di contemplare concretamente la sofferenza
- l'ineliminabilità della sofferenza nell'esistenza umana. Abbiamo creduto che
la vita dovesse elargirci tutti i suoi benefici, ma abbiamo scoperto che
accanto ad essi ci sono tanti mali. Ora, mentre espiriamo ed inspiriamo, non
pensiamo: "Io soffro" o "io sto male". Pensiamo piuttosto:
"Il dolore non sono io".
Continuiamo fino a capire che,
come l'io è una costruzione artefatta, così lo è il dolore.
Vorremmo eliminare la sofferenza
lasciando soltanto il piacere. Ma le cose non funzionano così.
Svuotiamoci di ogni nozione di io
(sé, ego). Non è "mio" né il dolore né il piacere. Lasciamo andare.
Nella mente vuota, non c'è né
dolore né piacere. Si estingue ogni attaccamento all'io e la mio. E che cosa
rimane? Rimane l'incondizionato.
Quando percepiamo un oggetto
qualsiasi, in realtà lo ricostruiamo e interpretiamo nella nostra mente. E non
sappiamo che cosa ci sarebbe là fuori senza una mente che lo ricostruisce.
Figuriamoci se questo non succede
anche per delle costruzioni che sono già delle astrazioni. Per esempio il
nostro stesso sé.
Nessuno vede un io là fuori. Tutt’al
più vediamo un corpo.
Abituiamoci dunque a considerare
la possibilità del vuoto del nostre stesso sé. Questo ci prepara anche a
considerare il processo del morire senza attaccamenti a idee né preconcetti.
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