Leggo un articolo (di Giada Costantini) in cui si dice che è
difficile distinguere fra delirio mistico e una profonda fede religiosa in chi
sostiene di avere un rapporto personale e intimo con la divinità.
In effetti, in certi casi, è
impossibile, nel senso che i due coincidono. Quanti mistici erano certamente
degli psicotici che cercavano di supplire a mancanze psicologiche e si immaginavano
un modello astratto di divinità come oggetto di attaccamento! Perdendo il
rapporto con la realtà, cercavano nel delirio di costruire qualcosa che lo
sostituisse. Ma la figura di Dio è proprio questo: il padre che non si è avuto,
l’amore che non si è avuto, il potere che non si è avuto, il punto di
riferimento ci è mancato…
Il delirio mistico viene
descritto come un disturbo dell’attenzione e della consapevolezza, associato ad
almeno un altro sintomo di deficit cognitivo (memoria, linguaggio, ecc.).
Un criterio empirico di
distinzione sarebbe il grado di sofferenza e di integrazione del soggetto. In
altri termini, dobbiamo domandarci quanto quei sintomi siano utili al benessere
dell’individuo. Il delirio nasce da una distorsione del rapporto con la realtà,
da una fallimento, da una fuga oppure è qualcosa che dà un senso alla sua vita
e alla sua capacità di relazionarsi?
In alcuni casi è difficile
rispondere. Si capisce benissimo che la fede in certe persone è qualcosa di
distorto, fondato sull’ignoranza, sull’odio, sulla paura, sul disperato bisogno
di avere un’identità, un protettore o un vendicatore e non serve minimamente a
relazionarsi meglio con gli altri. La fede può portare non alla pace, alla
comprensione dei diversi da sé e all’amore, ma alla guerra e alla divisione.
Ma io aggiungerei un altro
criterio: l’interiorità o meno di questa fede. Il vero credente non va in giro
esibendo crocefissi e rosari, e non vuol convertire nessuno, ma “cova” dentro
di sé il sentimento che ha evocato.
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