Benché il
Dio delle religioni tradizionali di massa ci venga presentato in termini di
amore e di funzione paterna, deve però svolgere anche la funzione di giudice
supremo. Alla fine, dopo la vita, è lui che deve premiare che gli si sia
sottomesso e punire chi abbia fatto del male o si sia ribellato alla sua
autorità. Questo ci dice quanto siano rozze e contraddittorie le nostre idee
sul creatore - e anche reazionarie!
C’è
bisogno di un Dio esterno per giudicare?
In
Oriente, esiste l’idea di una legge retributiva che funziona automaticamente – e
questa mi sembra un’idea un po’ più evoluta. Non c’è più un “Signore” che deve
punire, ma siamo noi stessi, che in base alle nostre azioni, accumuliamo un
karma positivo o un karma negativo.
Che prova
c’è?
In realtà,
l’idea nasce dalla constatazione che tutti abbiamo la stessa origine e che
quindi tutti siamo interdipendenti e interconnessi. Se io faccio del male, rompo
questa connessione e creo qualcosa di disarmonico che non può che creare danni -
agli altri e a me stesso.
Se ci
facciamo caso, possiamo verificarlo. Il male che facciamo si traduce in noi,
nel nostro stesso corpo, in una disarmonia e può essere notato da particolari
contratture o rigidità. Non siamo in armonia e ci danneggiamo fisicamente e
spiritualmente.
Fra l’altro,
sviluppare questa sensibilità verso il nostro stato psico-fisico è anche un
esercizio di meditazione, in cui dobbiamo notare per prima cosa che cosa ci
impedisca di raggiungere e conservare la calma, la stabilità e la pace.
La realizzazione
non è che liberazione dalla tensione della vita, cioè dalla sofferenza.
Non
ragioniamo dunque più in termini di bene e di male, ma di sofferenza – nostra e
altrui. Il male diventa in tal senso la malattia – la malattia da cui dobbiamo
liberarci per stare bene.
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