Molti provano a meditare, ma pochi ottengono dei risultati. Ci
sono vari motivi. Il primo è che la nostra vita è indaffarata dalla mattina
alla sera, al punto che non è facile trovare il tempo e lo spazio per rimanere
un po' soli con se stessi. Eppure, questo “rimanere soli con se stessi” è la
prima esigenza della meditazione. Finché percepiamo il mondo esterno, ci
muoviamo, interagiamo con gli altri e pensiamo, non possiamo meditare; non
possiamo neppure capire chi siamo.
Ci vuole un po' di
solitudine, un po' di raccoglimento, o saremo soltanto macchine semoventi, più
o meno eterodirette. Niente infatti è veramente nostro, neppure le sensazioni e
i pensieri; tutto è prodotto e condizionato dal mondo esterno. Per essere se
stessi, è necessario rimanere ogni tanto soli. Soltanto nella solitudine
schiariamo la mente, e vediamo e ricreiamo noi stessi. D'altra parte,
l'esigenza di meditazione nasce proprio dal tipo di alienazione (non essere se
stessi) da cui siamo abitualmente afflitti.
Quando proviamo a meditare,
è molto difficile staccare dal mondo esterno, che continua ad esercitare la sua
influenza attraverso la mente condizionata. Ci vuole tempo e pazienza. Chi è
abituato a lottare, chi è stressato, chi lavora molto, non riesce a rilassarsi
di colpo: ha bisogno di una camera di decompressione. La camera di
decompressione richiede tempo. Dunque, non è possibile ottenere risultati
apprezzabili se si ha poco tempo a disposizione. Avere tempo significa starsene
a lungo seduti e soli, anche su una sedia o una poltrona.
I pensieri devono prima
sbizzarrirsi ed esaurirsi, i muscoli devono allentarsi, la presa esistenziale,
la tensione e lo stress devono essere lasciati andare. Ci vuole tempo per
trovare la calma, il rilassamento e la lucidità. Né torpore né agitazione. Di
solito si può seguire il respiro, che non va forzato ma solo seguito. Il ritmo
del respiro è il ritmo della nostra vita, risente del ritmo della nostra vita e
può a sua volta influenzare la nostra vita. Quando stiamo male (fisicamente e/o
mentalmente), quando siamo impegnati, quando ci relazioniamo, quando lavoriamo,
quando pensiamo, ricordiamo o progettiamo, il nostro respiro si contrae e si
adatta a quel tipo di attività. Raramente è calmo e rilassato. E così il nostro
stesso essere.
Ecco perché non è possibile
passare subito ad una meditazione proficua. Anche la nostre meditazione sarà
tesa; e una meditazione tesa è una contraddizione in termini. Una meditazione
proficua si ha solo quando riusciamo a calmarci a fondo. Questo è il momento più adatto. Sia che meditiamo
formalmente sia che ci rilassiamo semplicemente, viene un momento in cui il
nostro essere, la nostra mente si distende. Da lì dobbiamo partire, non per
impegnarci, sforzarci o compiere un altro duro lavoro, ma per addentrarci
spontaneamente in qualcosa di piacevole, di molto piacevole.
Vorrei sottolineare che la
meditazione non dev'essere uno sforzo ingrato, una gara o una faticaccia, né
tanto meno un dovere. No, la meditazione deve essere un grande piacere,
paragonabile ai nostri massimi piaceri, alle nostre massime gioie. È un po'
come fare l'amore: ci vuole energia, ma per qualcosa di molto piacevole. È un
po' come addentrarsi in una terra sconosciuta, ma meravigliosa. Lo sforzo vale
il risultato.
Quando raggiungiamo questo
stato d'animo, stiamo entrando nella vera meditazione; non prima. Di solito, a
questo punto, compare un segno speciale (nimitta). Il nimitta può essere
una luce, un suono, un'immagine o una sensazione di distensione, di sollievo,
particolarmente accentuata; può essere anche una sensazione di grande
limpidezza mentale. Questa è la cosiddetta concentrazione o meditazione di
accesso. Siamo guidati da una sensazione di piacere, di fiducia, di meraviglia.
La meditazione è
meraviglia.
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