In meditazione
esiste un rapporto paradossale con il sé. Da una parte, l'ego, l'egocentrismo,
viene visto giustamente come un ostacolo. Ma dall'altra parte, senza ego, non
si può compiere alcuna ricerca, non si può tentare di liberarsi.
Dunque, in
un primo momento, bisogna utilizzare proprio le energie e le capacità del sé.
L'intelligenza, il senso critico, l'autocontrollo, la concentrazione e la
consapevolezza non scendono dal cielo, ma devono essere ritrovate in noi
stessi. E quindi bisogna affidarsi proprio alle forze e alle qualità egoiche,
scendendo addirittura sempre più a fondo in noi stessi. All'inizio si accentua
per così dire l'egocentrismo, perché ci ritroviamo ad un livello psicologico.
Lo scopo però della meditazione è superare anche tale limite.
Ed ecco il
secondo momento in cui ci si vede con distacco, come un uomo tra gli altri che
combatte per la propria liberazione, in balìa delle forze della natura,
dell'attaccamento, della paura, del desiderio, dell'illusione e del
condizionamento.
Da questo
distacco nasce la terza fase, quella del superamento del sé. Come riassumeva
bene il maestro zen Dogen, "studiare la via del Buddha è studiare il sé.
Ma studiare il sé è dimenticare il sé..."
Liberarsi del
sé, dimenticare il sé, non significa diventare degli dei ed essere subito
assunti in cielo, così come succede in certa mitologia religiosa. Ma significa
adottare una visione il più possibile imparziale su di sé e sulle cose.
È così che
nasce la grande saggezza, non in altro modo, non per scienza infusa. È questo
l'uomo illuminato, l'uomo del futuro; non il piccolo cialtrone che vede tutto
dal limitato punto di vista degli altri (famigliari, insegnanti, preti,
politici, ecc) e dal limitato punto di vista del proprio ego.
Nessun commento:
Posta un commento