Quando il Buddha afferma che
esiste una via per uscire dalla sofferenza non intende dire che c’è un modo per
essere sempre contenti, soddisfatti e felici, perché il dolore fisico e il
deterioramento non possono essere eliminati; ma intende dire che è possibile
non aggiungere al dolore fisico anche la sofferenza mentale.
La sofferenza mentale è “un
di più” che noi aggiungiamo.
Se inciampo e cado, mi
faccio male. Ma se inciampo, cado e mi do dell’imbecille perché non sono stato
attento, aggiungo un tormento. E così soffrirò due volte: per il dolore fisico
e per il dolore mentale.
Dobbiamo addestrarci a
distinguere le due cose e, più in generale, a vedere come ciò che chiamiamo “mente” sia in realtà un palcoscenico
su cui passano le più diverse formazioni mentali.
Noi ci identifichiamo con
queste formazioni mentali, facendoci trascinare da emozioni contrastanti. Ma
queste formazioni sono come nuvole che passano in cielo, oscurando per un po’
il sole e poi andandosene. Pur essendo inconsistenti, hanno un bel potere.
La soluzione è la posizione
del testimone, da conservare sempre nella vita. Se non possiamo cambiare gli
eventi né dominare ciò che ci passa per la mente, possiamo però prenderne le
distanze.
Possiamo guardarle come si
assiste a uno spettacolo di luci e di ombre.
Niente è davvero reale.
Tutto è sogno e rappresentazione, compresi noi, le nostre vicende e il nostro
mondo. Perfino ciò che riteniamo il nostro
io non è che un personaggio di scena.
La vita, senza il peso dell’io,
può essere affrontata con più leggerezza.
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