Certo la mente è uno strumento
meraviglioso, la punta di diamante dell’evoluzione. Ma il problema è che noi ci
identifichiamo completamente con essa e, anziché esserne padroni, ne siamo
schiavi.
Chi è il soggetto? Chi è che
dirige la nostra vita? Chi è che decide?
Non lo sappiamo in realtà.
Rispondiamo “io”. Però, nel momento in cui agiamo, non sappiamo dove si trovi
la centralina. Neppure dei nostri pensieri siamo padroni: i pensieri avvengono
senza che lo abbiamo deciso. E lo stesso per le percezioni, le sensazioni e le
emozioni.
Sono io che penso? Sono io che
sento? Sono io che mi emoziono?
Ma dov’è questo io? Chi è? Io sono io, però non produco
quasi niente di ciò che fa, pensa o sente il mio io.
Probabilmente questo io non
è neppure in qualche posto dentro di me, non è veramente me, ma è un centro
posto in qualche posizione intermedia.
Nessuno dirige l’io. Neppure
io. L’io è ciò che agisce e reagisce all’interno di un rete, rispondendo a
stimoli in parte interni e in parte esterni.
Questa è una prima
conclusione di una visione profonda.
Essere non significa essere
padroni di un io; è un’esposizione priva di armatura. Non siamo noi che viviamo
e non siamo noi che moriamo. Tant’è vero che, quando c’è la morte, non c’è
nessun io. Ma lo stesso è per la vita. Non c’è nessun io.
L’io
è una nostra illusione temporanea.
Questo però non è una
condanna, ma ci dà un senso di sollievo e di liberazione. Perché significa che
siamo plastici e fluidi. Se avessimo un io solido e roccioso, definito una
volta per tutte, non potremmo evolverci, cambiare, crescere. Non potremmo né
vivere né morire.
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