Samadhi e vipassana sono le due fasi della
meditazione. Samadhi è il
conseguimento della quiete e della pace, il sollievo e la liberazione che si
ottengono quando ci si concentra sul corpo e sulla mente e li si
tranquillizzano. Allora si ottengono la calma e una grande chiarezza mentale.
Ma questi stati non possono
essere permanenti perché nella vita tutto cambia di continuo. È dunque
necessario approfondire la nostra visione per capire il funzionamento delle cose;
ed eccoci nella pratica vipassana che
comprende innanzitutto l’impermanenza di tutti gli stati, mentali e fattuali.
Capire l’impermanenza o vacuità
significa per esempio lasciare andare le immagini che ci facciamo delle cose e
di noi stessi. Le cose esistono, ma non sono quelle che noi immaginiamo: si
tratta di pensieri, di pregiudizi, di etichette, di sensazioni. Il nostro
stesso io è una di queste immagini, accompagnate da sensazioni positive (mi
piace), negative (non mi piace) o neutre (mi annoia).
La nostra vita consiste per
lo più nel cercare le cose piacevoli e nell’evitare quelle spiacevoli. E,
subito, ci attacchiamo alle cose che ci appaiono piacevoli e in noi nascono desideri
e identificazioni.
Riuscire a vedere le cose in
questo modo significa osservare tutto con equanimità, imparzialità e distacco,
e non attaccarsi a nulla ritenendolo io e mio. Se non ci attacchiamo e
guardiamo tutto con consapevolezza, otteniamo la saggezza, quella capacità di
visione e quella forza che ci proteggono dalle illusioni, dagli errori e dalle
delusioni.
Dobbiamo anche vedere quanto
nella nostra meditazione è in realtà al servizio dell’io, in funzione della sua
gratificazione e del suo potenziamento. Non è questo che dobbiamo cercare. Più
fortifichiamo il nostro ego, più innalziamo muri che ci isolano e non ci fanno
comprendere.
Insomma, dalla semplice
quiete alla visione profonda il percorso è lungo, ma è l’unico che possa farci
capire tante cose.
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