lunedì 14 dicembre 2015

Il soffio della vita: la mente-respiro

Se siamo agitati, ansiosi o preoccupati, il nostro respiro sarà corto, contratto, accelerato, irregolare, superficiale: non potremo rilassarci, non potremo dormire bene, non potremo distenderci.
Al contrario, quanto più la nostra mente sarà rilassata, tanto più sarà rilassato, calmo e profondo il respiro. Questo perché esiste un rapporto strettissimo fra psiche e soma, che sono un tutt’uno, rappresentando ciò che noi siamo unitariamente in un certo momento. Anche sul piano etimologico, la parola “respiro” è collegata alla parola “spirito.” Nel Vangelo di Giovanni è scritto che lo spirito è come il vento che soffia dove vuole. Nel libro del Genesi, si dice che Dio soffiò nelle narici dell’uomo uno “spirito vitale” e l’uomo diventò un essere vivente.
In Oriente, infine, la parola prana indica il respiro in quanto energia cosmica che pervade ogni cosa.
Resta il fatto, comunque, che la vita incomincia con il primo respiro e finisce con l’ultimo respiro.
Stando così le cose, ci sembrerebbe logico agire sul respiro per agire sulla mente. In parte è vero, ma bisogna stare attenti a non forzare. Dobbiamo cercare non tanto di agire sulla respirazione, quanto di lasciarla stare, di lasciare che si calmi spontaneamente. Se si calmerà da sola, anche la mente si calmerà.
Se ci sforzeremo sarà uno sforzo dell’io che tenta di ottenere uno stato di calma: di fatto un controsenso.
Il metodo migliore per calmare la mente-respiro è l’attenzione. Non a caso, quando siamo concentrati piacevolmente su qualcosa, quando siamo rapiti da qualcosa, diciamo che “tratteniamo il respiro.”

Questo “trattenere il respiro-spirito” è la condizione meditativa migliore, corrispondente al samadhi. È uno stato di concentrazione in cui il soggetto si assorbe nell’oggetto, in cui, cioè, si supera il dualismo.

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