In
fondo, meditare è imparare a stare in silenzio, dove per “silenzio” non si
intende l’assenza di rumori esterni, ma l’assenza di rumori “mentali”.
Il
rumore mentale è quello che viene prodotto dai nostri incessanti pensieri, dai
nostri atti di volizione, dalle nostre intenzioni esplicite o implicite. È come
se avessimo la testa invasa da mosconi di vario tipo che vanno avanti e
indietro, cozzano l’uno contro l’altro e ronzano, ronzano, ronzano…
C’è
silenzio quando c’è assenza di preoccupazioni, di paure, di ansie, di speranze,
di ricordi, di rimuginazioni, di fantasie, di calcoli, di previsioni, di
ragionamenti, ecc.
Stiamo
seduti semplicemente in silenzio.
La
cosa che fa più rumore è l’io che non può stare un attimo quieto, perché il silenzio lo
renderebbe inutile. Il senso dell’io e del mio è come un attore che deve sempre
stare sul palcoscenico a recitare qualche parte, perché, in caso contrario, si
sentirebbe superfluo e come morto.
Ecco
perché l’io assimila la paura del silenzio alla paura della morte.
Ma
la sua morte, il suo “silenziamento”, non è affatto la morte. È la pace, la
quiete, la calma, l’origine.
Silenzio
significa raggiungere uno stato di calma e di tranquillità – cosa non facile
dato che noi tendiamo sempre ad essere, a fare e a pensare qualcosa.
Entrare
nel silenzio significa lasciar andare ogni intenzione e abbandonarsi alla
saggezza e alla spontaneità del tutto.
Riuscire
a stare in silenzio ci rende più sensibili e più profondi.
Silenzio
è non-mente, e non-mente è veder chiaro.
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