lunedì 28 dicembre 2015

La dimora del silenzio

In fondo, meditare è imparare a stare in silenzio, dove per “silenzio” non si intende l’assenza di rumori esterni, ma l’assenza di rumori “mentali”.
Il rumore mentale è quello che viene prodotto dai nostri incessanti pensieri, dai nostri atti di volizione, dalle nostre intenzioni esplicite o implicite. È come se avessimo la testa invasa da mosconi di vario tipo che vanno avanti e indietro, cozzano l’uno contro l’altro e ronzano, ronzano, ronzano…
C’è silenzio quando c’è assenza di preoccupazioni, di paure, di ansie, di speranze, di ricordi, di rimuginazioni, di fantasie, di calcoli, di previsioni, di ragionamenti, ecc.
Stiamo seduti semplicemente in silenzio.
La cosa che fa più rumore è l’io che non può stare un attimo quieto, perché il silenzio lo renderebbe inutile. Il senso dell’io e del mio è come un attore che deve sempre stare sul palcoscenico a recitare qualche parte, perché, in caso contrario, si sentirebbe superfluo e come morto.
Ecco perché l’io assimila la paura del silenzio alla paura della morte.
Ma la sua morte, il suo “silenziamento”, non è affatto la morte. È la pace, la quiete, la calma, l’origine.
Silenzio significa raggiungere uno stato di calma e di tranquillità – cosa non facile dato che noi tendiamo sempre ad essere, a fare e a pensare qualcosa.
Entrare nel silenzio significa lasciar andare ogni intenzione e abbandonarsi alla saggezza e alla spontaneità del tutto.
Riuscire a stare in silenzio ci rende più sensibili e più profondi.

Silenzio è non-mente, e non-mente è veder chiaro.

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